Servizio civile, soddisfazione per 400 giovani trentini
Più che il morandiano uno su mille ce la fa, in questo caso quattrocento su mille ce l'hanno fatta: stiamo parlando dei ragazzi che, ad oggi, stanno prestando servizio civile in Trentino. Un migliaio le domande che arrivano ogni anno, circa quattrocento quelle accettate. E ieri i 397 giovani si sono riuniti nell'assemblea generale, un momento di confronto e condivisione, di idee e richieste.
«Siamo qui per far emergere l'importanza che ha il servizio civile e perché dobbiamo essere orgogliosi di farne parte» ha esordito Giampiero Girardi, direttore dell'ufficio provinciale. Seduti di fronte a lui quasi quattrocento giovani, tra i 18 e i 28 anni: ragazze e ragazzi con i capelli colorati, con la barba, con la pelle nera, con i piercing, con la camicia, con il velo. Diversi e variopinti, ma tutti nella stessa grande famiglia. Ragazze e ragazzi che stanno cogliendo una chance, una possibilità: da un minimo di tre mesi a un massimo di dodici lavorando in circa cento organizzazioni coinvolte, dalle cooperative ai musei, dalle associazioni ai Comuni, passando per qualche azienda.
«Il fatto di mettersi alla prova è l'aspetto più importante per i ragazzi, che in questi mesi copiscono cosa sanno fare e cosa no, se sono adatti o no».
Un aspetto fondamentale, visto che l'ingresso nel mondo del lavoro è sempre più complicato. In questi mesi possono conoscere, confrontarsi, capire, «ficcare il naso» in ambienti dei quali sanno poco e soprattutto crearsi una rete di contatti.
«Quella che facciamo è una politica di transizione verso l'età adulta. Non vogliamo formare attivisti politici ma persone coscienti del contesto in cui vivono e in futuro lavoreranno. Perché il problema del mondo d'oggi è il lavoro, inutile girarci intorno».
Nel periodo di servizio civile la paga è di 433,80 euro al mese. Soldi che arrivano grazie alla Provincia, che ogni anno investe un milione e mezzo di euro, utili appunto per gli stipendi, ma anche per la formazione e per le assemblee. Per coordinare e gestire il progetto lavorano otto persone.
Ieri, appunto, l'assembela al collegio Arcivescovile, una delle due annuali. Un momento per ascoltarsi e confrontarsi, per capire cosa funziona e cosa no. Quattro le macro aree, con i ragazzi che si sono divisi in piccoli gruppi e hanno discusso: «Il ruolo del servizio civile nelle organizzazioni», «La gestione dei progetti di servizio civile», «Il valore sociale del servizio civile», «Mondo del lavoro e servizio civile». Poi, nel pomeriggio, il punto della situazione. «Noi ci dobbiamo mettere sempre in discussione - ha detto il formatore Riccardo Santoni -, non perché le cose non vadano bene, ma perché vogliamo costantemente ottimizzare il sistema ascolta quello che ci dicono i ragazzi. Siamo diventati una cosa grande, non siamo più una nicchia: voi ragazzi avete un impatto mediatico e politico, visto che agite per il bene comune».
A fine giornata è stato detto che «il servizio civile è un'esperienza che dà maggiori consapevolezze, anche attraverso l'esercizio di attività concrete e che porta qualcosa di nuovo e di giovane all'interno di strutture organizzative consolidate. Non deve essere - questa una delle preoccupazioni emerse - un'attività che sostituisce posti di lavoro o che alimenta il precariato, ma piuttosto che al lavoro si affianca e ne diventa complementare, magari sperimentando vie e pratiche nuove. Per noi ragazzi è fondamentale sentirsi considerati e apprezzati nelle organizzazioni in cui sono impegnati. C'è ancora da fare, però, nella percezione sociale dell'importanza del servizio civile all'interno delle comunità in cui viene svolto».
Quando i quasi 400 del servizio civile escono dall'auditorium per andare nelle aule e iniziare il lavoro di confronto, ci sfilano davanti e ci viene in mente il titolo di un film di inizio anni Novanta con Winona Ryder e Ethan Hawke: «Giovani, carini e disoccupati». Ma forse è un po' crudele, e allora al posto di disoccupati mettiamo «preparati e in cerca di una possibilità».
Però il sorriso non manca, come dimostrano Fabio Colò, Silvia Benatti e Clarissa D'Alberto. Loro, in realtà, il servizio civile l'hanno terminato da qualche mese. E subito ci dicono che «è un'esperienza che consigliamo a chiunque di fare e che rifaremmo subito».
Ieri erano nelle vesti di «peer leader», ovvero giovani che hanno concluso il proprio servizio civile e che si sono resi disponibili a supportare l'Ufficio servizio civile nell'organizzazione delle formazioni generali e nelle assemblee generali, oltre che nel rispondere a qualsiasi bisogno o richiesta avanzata dai ragazzi attualmente in servizio.
«Io ho lavorato al Muse per un anno nell'ambito della comunicazione web: è stato stupendo» esordisce Silvia, 25enne di Trento, laureata in tecnologie della comunicazione a Rovereto. «Non trovavo lavoro e così mi sono informata sul servizio civile. Ho fatto un'esperienza molto bella e formativa. Ora sto cercando nuovamente lavoro, ma grazie alla rete e alle esperienze che ho fatto spero di riuscirci a breve».
«Io ho collaborato con Atas - spiega Clarissa, 23enne abruzzese, arrivata in Trentino per frequentare Studi Internazionali - e ho scoperto un mondo che mi interessa tanto. A tal punto che ora frequento un master a Cà Foscarsi sul tema dell'immigrazione e dell'accoglienza».
Chi nell'ambiente dove ha svolto il servizio civile ci è rimasto è invece Fabio, 26 anni, sociologo di Trento: «Ho lavorato al Centro salute mentale e, terminato il periodo di servizio civile, sono comunque restato a collaborare con una onlus. Non ho un contratto a tempo indeterminato, ma è un passo avanti».
Ieri i tre, insieme ad altri ragazzi e collaboratori, oltre a esperti che hanno condotto i giovani durante le tavole rotonde, hanno aiutato nell'organizzazione e dato consigli utili a tutti.