Ikebana, 10 passi per capire l’arte dei fiori

Ikebana, ovvero «l’arte giapponese di disporre i fiori». Può bastare questa definizione a raccontare una delle più antiche, ma vivissime, tradizioni del paese del Sol Levante? «Assolutamente no. Per capire davvero l’Ikebana bisogna partire dal suo significato più intimo, dal suo forte legame con l’interiore», racconta Silvana Mattei, Sub-GrandMaster e Group leader dell’Ikebana Ohara A.L.U. Study Group, nella lezione che l’Istituto Giapponese di Cultura a Roma ha dedicato a quest’arte.

Ecco quindi 10 passi per avvicinarsi all’Ikebana, alle sue scuole, stili e significati.

ORIGINI

Al contrario di quel che si può pensare l’Ikebana non nasce a scopo decorativo, ma ha origine nelle forme offertorie legate al culto buddista, importate dalla Cina al Giappone nel IV secolo d.C.

ESSENZA

È piena di asimmetrie, vuoti e pieni, sottintesi, proprio come nella natura, dove nulla è perfetto e statico ma sempre in divenire. Questo spiega anche i due kanji che ne formano la parola in giapponese, unione dei concetti «rendere visibile la vita» e «fiore» ma anche «foglia, corteccia, ramo, tronco», a indicare che tutto ciò che esiste in natura può essere tradotto nell’Ikebana. Ma nel segno grafico è insisto anche un uomo giovane che diventa vecchio, proprio come un germoglio diventerà fiore. Fondamentali quindi i concetti di impermanenza e in divenire.

SCUOLA IKENOBO

Se avete intenzione di avvicinarvi all’Ikebana, questa è la scuola più antica in Giappone, fondata dal monaco Senkei Ikenobo nel 1462. Obiettivo, non solo l’estetica della composizione ma anche raffinatezza, semplicità e la rappresentazione della proprio sensibilità e spiritualità.
C’è sempre un elemento «protagonista» e una serie di «aiutanti», ma mai in competizione fra loro. E un punto di vista da cui osservare (i fiorellini in basso sono spesso punti di ingresso nella visione). Come nelle altre scuole, la scelta del vaso è parte integrante dell’opera.

GLI STILI

All’interno di una stessa scuola possono coesistere più stili. Tra i più antichi della Ikenobo c’è lo stile Rikka, che, generalmente, si concentra sulla verticalità a partire da uno stelo e mette insieme tutti gli elementi della natura. A ben guardare ci siamo anche noi, gli uomini. Alla base si utilizza spesso il kenzan, un sostegno per meglio inserire fiori e gambi e poi far fluire l’acqua. Tradizionalmente, queste composizioni hanno una piccola alcova dedicata all’interno della casa: il Tokonoma. Più essenziale lo stile Shoka, mentre grande fonte di ispirazione è la pittura della scuola Rimpa nata nel XVII secolo di cui l’Ikebana oggi continua a «dipingere» in vaso temi e modelli.

SCUOLA OHARA

Al centro dell’Ikebana Ohara è il rapporto molto forte con la natura, lo studio delle sue forme, i suoi ritmi stagionali, la crescita dei suoi elementi. Perché il nuovo non soppianta mai completamente il vecchio. L’infinita varietà delle forme compositive consente di esprimere la propria creatività e sensibilità attraverso scelte diverse e personali, in un connubio di stili tradizionali e ricerca di forme più innovative.

SCUOLA SOGETSU

Nel 1927, quando si credeva che ormai la pratica dell’Ikebana fosse canonizzata e stabile, Sofu Teshigahara fondò questa scuola al motto «tutti possono fare Ikebana Sogetsu, sempre e ovunque, con qualsiasi materiale».
Nasce così il freestyle. Le composizioni si legano all’arte moderna, al design, all’architettura, pur mantenendo tutte le regole classiche del pieno-vuoto o delle asimmetrie. Diventano tridimensionali e accolgono anche elementi non provenienti dalla natura (ad esempio strisce di legno modellabili, piccoli oggetti, giocattoli), purché tutto sia intimamente connesso. Sul principio fondamentale Linea-Massa-Colore, si persegue l’innovazione, per non lasciare l’Ikebana chiusa nel suo mondo, ma legarla alle altri arti.

VUOTO E PIENO

L’alternanza è fondamentale. Mai avere paura del vuoto: esiste in natura come nell’Ikebana ed è costruttivo al pari di una pausa musicale o di un «ma» quando parliamo.

I FIORI

Non è mai una gara al «più bello». Tutti partecipano al risultato secondo il proprio ruolo. Ma come e quanti sceglierne? Per la Scuola Ikenobo tendenzialmente «poco è meglio». La Ohara varia a seconda della forma compositiva, ma, ad esempio, se in una creazione Rimpa si possono usare solo fiori e vegetali ritratti nelle opere della scuola pittorica. Per la Sogetsu, l’importante sono le contaminazioni, quindi si sceglie quello e quanto serve, insieme ai materiali adatti.

ARMONIA CON LE STAGIONI

È uno dei principi fondamentali dell’Ikebana: sempre meglio prediligere ciò che la natura ci sta già offrendo. Anche in inverno, stagione meno prorompente della primavera, ma dalla bellezza «sussurrata». Ecco allora perfetti l’elleboro e le felci, ma anche il pino sempreverde con la sua eleganza, il bambù simbolo di tenacia e resilienza o il prunusmume, che fiorisce proprio in questi mesi quando tutto dorme, cugino stretto del ciliegio e portatore di speranza. Tra i fiori, il narciso, la camelia, la rosa. La nebbiolina dona leggerezza e rimanda all’idea di piccoli bambini. Alla base, si può inserire il muschio licopodio, così simile al verde dei giardini giapponesi.

ACQUA

Le composizioni Ikebana vanno nutrite, così da durare anche molto a lungo. L’acqua è il primo elemento da inserire nella «costruzione», ma può essere anche parte della narrazione.
Come nello stile Kansukei: utilizzate un ramo che riflette su un piccolo specchio d’acqua e racconterete il fluire della natura, del tempo, delle cose.

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