A Cavalese un parto costa sei volte più che a Trento Polemica sulla onerosa riapertura del punto nascita Ma Fugatti la difende: è il prezzo dei diritti rispettati
Quanto sta costando la riapertura del punto nascite di Cavalese alla sanità trentina? La risposta, per quanto parziale poiché limitata al primo mese di riapertura, l'ha data ufficialmente l'altro ieri l'assessora alla salute, politiche sociali, disabilità e famiglie, Stefania Segnana. Il «conto» era stato richiesto dal consigliere di Futura 2018 Paolo Ghezzi con un'interrogazione presentata il 4 gennaio scorso. Un conto che leggendo la risposta dell'assessora, senza tema di smentita non può che definirsi salato.
Il dato che più degli altri mette in luce quanto onerosa sia la cambiale elettorale che la giunta guidata da Maurizio Fugatti sta onorando, è quello del costo medio per parto.
Ebbene: se all'ospedale di Trento esso si attesta a circa 2.300 euro, a quello di Cavalese nel mese di dicembre 2018 è stato di 12.900 euro. La comparazione è impietosa e dà da pensare visto che al costo-nascita di un bambino a Cavalese ne vengono alla luce quasi sei nel capoluogo.
Uno sproposito che in termini percentuali viene scolpito nella pietra dal +82% di spesa pro-parto nel punto nascite dell'ospedale fiemmese.
Nella premessa alla risposta, l'assessora Segnana tiene a sottolineare come la riapertura di Cavalese sia stata «fortemente richiesta e voluta dalla popolazione e dalle istituzioni presenti nella val di Fiemme, al fine di garantire anche alle residenti delle zone disagiate e di montagna la possibilità di partorire nell'ospedale di zona in condizioni di sicurezza». Condizioni che per il Comitato Percorso Nascita nazionale (CPNn) prima non sussistevano (parere negativo del 21 febbraio 2017 legate principalmente al non raggiungimento del volume minimo di 500 parti/anno che determinò la chiusura di Cavalese), scelta poi ritrattata con deroga del 9 ottobre 2018.
Venendo ai numeri chiesti dal consigliere Ghezzi, i parti registrati a dicembre 2018 all'ospedale di Cavalese sono stati 14, di cui uno con taglio cesareo, con impiego di tre liberi professionisti per 17 turni di presenza attiva di 12 ore e 15 turni di pronta disponibilità. Il costo complessivo del primo mese di operatività, considerando l'equipe ostetrica e ginecologica e l'integrazione del personale di anestesia e di pediatria per garantire la presenza attiva 24 ore al giorno, è stato di 260.000 euro.
Molto interessante anche il dato relativo alle ricadute della riapertura del punto nascite sugli altri reparti dell'ospedale a causa della riorganizzazione delle sale operatorie, con il raddoppio a dicembre rispetto alla media dei mesi precedenti dei trasferimenti di pazienti verso altri ospedali. «Nel mese di dicembre 2018 - si legge nella risposta dell'assessora Segnana - i pazienti trasferiti dal pronto soccorso di Cavalese all'ospedale di Trento sono stati 11; mentre da gennaio a novembre sono stati 66».
Scoprire su l'Adige dall'assessora alla salute Stefania Segnana che far nascere un bimbo a Cavalese costa sei volte di più che a Trento (dal 2 dicembre ad oggi sono stati in totale 85), ha improvvisamente rinfocolato il dibattito sull'opportunità della riapertura del punto nascite di Cavalese.
Tirato in ballo quale artefice principale della decisione, il presidente della Provincia Maurizio Fugatti l'ha difesa con un lungo intervento pubblicato sulla sua pagina Facebook, che proponiamo di seguito.
«Quanto costa la ricerca? Sicuramente molto. Ma recentemente ho avuto la fortuna di visitare - e incoraggiare - il centro Telethon e capire che i finanziamenti alla ricerca per debellare le malattie rare non bastano mai. Eppure è sufficiente che germogli anche solo uno dei mille semi piantati per dire: sì, ne vale la pena.
Quanto costa il punto nascite di Cavalese? Sicuramente molto. Ma anche qui, non si tratta di guardare con il paraocchi il puro aspetto ragioneristico, perché la posta in gioco è molto, molto più alta.
Si tratta di dire chiaramente che in Trentino non ci devono essere cittadini di serie A e cittadini di serie B. Si tratta di capire che la metà dei nostri concittadini vive nelle valli ed ha tutti i diritti di rivendicare parità di accesso a quelli che sono considerati i servizi essenziali: la sanità ad esempio, ma anche la scuola, gli asili, i servizi comunali e via dicendo.
Possiamo discutere all'infinito sui modelli organizzativi, dire che la centralizzazione è più efficiente (e meno costosa?), che siamo così pochi che basterebbe concentrare tutto in una o due città desertificando tutto ciò che sta intorno, come già avvenuto in altre parti del Paese.
Ma anche questi sono costi (e sarebbe interessante dedicare una tesi di laurea per approfondire il tema sotto tutti gli aspetti, dalla viabilità all'urbanistica, dal dissesto idrogeologico all'impatto ambientale in genere, e via discorrendo).
Sono costi, dunque, e tempi lunghi, a volte lunghissimi e costellati di ostacoli... basti pensare al travagliato iter del Nuovo ospedale.
Nel frattempo però ogni uomo, ogni donna, ogni famiglia che decide di continuare a vivere lontano dalle città ha bisogno di risposte. E quegli stessi bambini che sono nati in queste settimane a Cavalese avranno diritto ad essere curati, ad andare a scuola, a creare relazioni nel luogo in cui sono cresciuti.
Quel luogo che impareranno ad amare e che vorranno difendere. Per il bene di tutti noi.
La politica viene spesso accusata di non avere visione. Per me visione significa guardare quello che abbiamo attorno a noi e poi chiudere gli occhi un istante immaginando come potrebbe essere, in un futuro non troppo lontano. Saranno le scelte che stiamo facendo oggi che ci restituiranno un ritratto dentro il quale la nostra comunità anzitutto dovrà riconoscersi, ma che ci caratterizzeranno anche nei confronti del mondo. Perché globalizzazione, spopolamento, ricerca di identità sono temi (gli stessi riecheggiati nel percorso degli Stati generali della montagna) che non hanno confini. In Trentino sono i cittadini stessi che reclamano soluzioni per giocarla fino in fondo questa sfida: ascoltarli è un dovere come pure impegnarsi per trovare soluzioni. Derubricare ad ostinazione o propaganda la volontà di difendere certe scelte significa rinunciare a quella ricerca che magari può apparire costosa, ma su cui poggia uno dei pilastri del Trentino che verrà».