Gli effetti attenuati del covid-19 sui pazienti Studio del S. Raffaele: carica virale ridotta Sull'epidemia nuova polemica tra scienziati
A parlare di testimonianze dei medici nei reparti covid che rilevano effetti molto attenuati del coronavirus era stato venti giorni fa il professor Giuseppe Remuzzi, direttore dell’istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri, intervenuto anche in alcune trasmissioni televisive (come “Piazza pulita” a La7) e radiofoniche.
Ieri si è scatenata una polemica su dichiarazioni simili, ma più dirette e critiche verso l'approccio istituzionale, rilasciate da Alberto Zangrillo, direttore della terapia intensiva del San Raffaele di Milano: «Clinicamente il nuovo coronavirus non esiste più. Circa un mese fa sentivamo epidemiologi temere per fine maggio o inizio giugno una nuova ondata e chissà quanti posti di terapia intensiva da occupare. Qualcuno terrorizza il Paese», ha detto.
Dalle autorità sono arrivate prese di distanza, a cominciare dal presidente dell’lstituto superiore di sanità, Franco Locatelli, che si è detto «sconcertato».
Secondo Locatelli i miglioramenti sarebbero solo il risultato dei mesi di lockdown severo, suggerito al governo dallo stesso Iss e dal comitato tecnico-scientifico, e di altre misure. «Aver incrementato di molto i posti di terapia intensiva - ha detto Locatelli - è un merito enorme del sistema sanitario nazionale, poiché ha permesso di offrire una risposta clinica a tanti malati che altrimenti non avrebbero potuto essere adeguatamente curati. Dovremmo tutti rallegrarci che le misure di lockdown abbiano prodotto gli effetti sperati contenendo la diffusione epidemica con risparmio di tante vite umane e questo risultato inconfutabile deve spingere a continuare sul percorso della responsabilità dei comportamenti individuali, da non disincentivare attraverso dichiarazioni pericolose che dimenticano il dramma vissuto in questo Paese. È altrettanto chiaro, anche a occhi non esperti che la gestione clinica dei malati è certamente oggi facilitata dal minor numero di casi rispetto a quelli osservati nei giorni di picco e da quanto si è imparato in questi mesi. Questi sono i fatti concreti, il resto opinioni personali», conclude piccato il presidente dell’Iss.
Remuzzi, però, si era riferito non tanto alle circostanze umane ma al virus che appare «completamente differente» rispetto ai mesi precedenti. Se sia mutato o se incontri condizioni ambientali più ostiche, al momento non è dato sapere, aveva aggiunto il direttore del “Negri”, ma di certo, aveva sottolineato, «i pazienti colpiti dal covid-19 in queste ultime settimane non presentano gli stessi gravi sintomi che si manifestavano a inverno inoltrato». In quel caso le dichiarazioni di uno scienziato di indubbia fama non sollevarono affatto le reazioni negative negli ambienti istituzionali e della tecnocrazia medica rivolte ora a Zangrillo, che sui social viene difeso dall'attore Natalino Balasso.
Contro il medico del San Raffaele anche lo pneumolgo Luca Richeldi, componente del comitato tecnico-scientifico, che reputa «fuorvianti» le dichiarazioni sul virus indebolito e ricorda che «il contagio circola ancora». Dal governo critiche da sottosegretario alla salute Sandra Zampa, secondo la quale rilevare che negli ospedali non arrivano più pazienti covid gravi come due mesi fa «è un messaggio sbagliato che rischia di confondere gli italiani».
Più comprensiva la reazione del viceministro della salute, Pierpaolo Sileri, ospite ieri a “Non è l’Arena” su La 7. «Il professor Zangrillo ha riportato l’esperienza di un clinico che ha detto "in terapia intensiva non vengono più malati gravi". Se sento Bassetti e altri colleghi dicono la stessa cosa, quindi qualcosa è accaduto. Noi abbiamo lavorato in tre mesi prendendo il numero dei morti e il numero dei posti in terapia intensiva come parametro. D’altro canto dobbiamo continuare a usare prudenza, distanza, lavarsi le mani, indossare la mascherina. Ci siamo difesi in maniera forte contro un nemico che ha fatto moltissimi morti. Ora questo nemico sembrerebbe meno aggressivo, continuiamo a difenderci e aspettiamo i risultati».
Il viceministro ha evocato la testimonianza di Matteo Bassetti. direttore della clinica di malattie infettive dell’ospedale San Martino di Genova, il quale aveva spiegato: «È evidente – ha detto – che oggi la malattia covid-19 è diversa: la presentazione clinica e il decorso sono infatti molto più lievi. Il virus ha perso la potenza di fuoco che aveva due mesi fa. Da medico che è sul campo dico che i malati di ora sono diversi da quelli di due mesi fa: prima i pazienti avevano una condizione molto più grave, ora meno. Proprio queste evidenze ci fanno dire che il virus potrebbe essere diverso».
Ma è presto per trarre delle conclusioni, secondo il direttore scientifico dell’istituto Spallanzani di Roma, Giuseppe Ippolito.
Fortunatamente in Italia «abbiamo ora meno casi gravi e ciò dimostra che le misure di contenimento adottate hanno dato i loro frutti, ma al momento non c’è alcuna prova né alcuno studio scientifico pubblicato che il virus sia mutato». Di solito, avverte, «i virus si attenuano nel corso di vari anni, ma non bisogna essere catastrofisti o ottimisti a tutti i costi». Ora, «ciò che dobbiamo fare - conclude - è monitorare la situazione giorno per giorno e mai abbandonare la prudenza».
Ma dall’ospedale San Raffaele di Milano oggi arriva anche qualche anticipazione su uno studio, in via di pubblicazione su una rivista scientifica, secondo il quale si è registrata una notevole riduzione della quantità di virus nelle persone positive, se si confrontano i dati di marzo e di maggio.
Intervistato oggi dal Corriere della Sera, Massimo Clementi, direttore del laboratorio di microbiologia e virologia del San Raffaele, che ha coordinato l’indagine su 200 pazienti, il carico virale nei tamponi è calato sensibilmente nell’arco di un paio di mesi e dunque anche la capacità replicativa del virus a maggio è «enormemente indebolita», a prescindere dall’età delle persone analizzate.
Fra le ipotesi per spiegare questa trasformazione, quella di un adattamento del microorganismo derivante dal suo stesso istinto di sopravvivenza: se gli effetti sono troppo aggressivi e l’ospite umano muore, per il virus è un suicidio.
Sull’Adige in edicola oggi il tema è affrontato in un’intervista al virologo del Cibio Massimo Pizzato, il quale a sua volta esprime un certo ottimismo sull’evoluzione epidemica, grazie agli effetti di lockdown, comportamenti sociali e cambio di stagione. E precisa: «È nella natura di questa tipologia di virus dare patologie sempre meno aggressive. Il virus entra nella popolazione con una certa patogenicità poi tende ad attenuarsi nel tempo. Dal mio punto di vista è inaspettata la velocità con cui tutto questo è avvenuto, perché solitamente si verifica in intervalli temporali decisamente più lunghi».