La scelta di Silvia: mutazione genetica la espone ad alta probabilità di cancro, operazione per rimuovere seni e ovaie

di Laura Galassi

«Con questa famigliarità, hai l’80% di possibilità di ammalarti di tumore».

Silvia Cristoforetti, 35 anni, insegnante di Trento, è riuscita a trasformare una diagnosi praticamente certa nello sprone per prendere una decisione coraggiosa: farsi asportare entrambi i seni e le ovaie.
Nel 2013 la star di Hollywood Angelina Jolie ha posto per la prima volta questo iter di prevenzione all’attenzione dell’opinione pubblica.

Entrambe hanno deciso di intraprendere il delicato percorso chirurgico a causa dalla presenza della mutazione genetica Brca1, che aumenta esponenzialmente la possibilità di una diagnosi di alcune tipologie di cancro. Un gioco di probabilità nella quale la portatrice di quello che oggi è conosciuto come «gene Jolie», ha poche chance di uscirne indenne: gli studi parlano di un 50-80% di possibilità di sviluppare un tumore alle ovaie o ai seni, contro il 10% dei soggetti non mutati.

Il «coming-out» dell’attrice aveva sollevato un dibattito molto aspro e ancora oggi sono molte le persone che vedono la scelta di Angelina e Silvia come qualcosa di esagerato. Proprio per sensibilizzare la popolazione sulla mutazione e sulle opportunità che la chirurgia preventiva rappresenta in termini di sopravvivenza e qualità della vita, l’insegnante trentina ha scelto di raccontare la sua storia in una diretta Facebook, organizzata per venerdì 29 gennaio alle 18 dalla Lilt di Trento in collaborazione con la Breast Unit dell’Ospedale Santa Chiara.

L’albero genealogico di Silvia Cristoforetti è da sempre segnato da morti femminili molto precoci. La bisnonna è scomparsa a 49 anni per un tumore al seno, la nonna è sopravvissuta a due diagnosi identiche e poi si è dovuta arrendere al cancro all’ovaio. La mamma ha già superato entrambe le patologie. Proprio durante la malattia della madre, Silvia si è sottoposta al test genetico che ha cambiato la sua vita. «La mutazione non è una condanna, quanto piuttosto una grandissima seccatura», spiega.

«Conoscere la mia mutazione genetica mi ha dato la possibilità di scegliere di fare qualcosa anziché aspettare passivamente il corso degli eventi.
Tanto più che a 12 anni ho avuto un linfoma di Hodgkin. So bene cosa significa essere un paziente oncologico».

Così, dopo lunghe riflessioni, a 32 anni, quando la sua prima figlia aveva appena imparato a dire «mamma», Silvia si è sottoposta alla mastectomia bilaterale preventiva. A 34, quando la secondogenita aveva tre mesi, è stata la volta dell’ovariectomia.

Un percorso doloroso, durante il quale la giovane ha però potuto contare sul supporto di un team di professionisti all’avanguardia e sull’associazione aBRCAdabra, della quale è poi diventata referente per il Trentino. La onlus, oltre a rappresentare una community preziosissima per consigli e informazioni, si occupa di promuovere la formazione dei medici di base e la diagnosi precoce.

Nella nostra provincia, dove un’ottantina di donne è affetto dalla mutazione, la battaglia più importante è sull’esenzione D99, necessaria per far sì che ai portatori sani del gene BRCA a rischio eredo-famigliare possano essere garantite prestazioni diagnostiche gratuite, anziché spendere una media di 500 euro all’anno. «Non si tratta solo di salvaguardare il diritto alla salute delle persone con mutazione - sottolinea Silvia Cristoforetti - bensì anche di convenienza. Per l’ente pubblico è decisamente più economico finanziare la prevenzione invece che gli interventi e i trattamenti una volta che la malattia si è manifestata».

La sezione trentina di aBRCAdabra due anni fa ha inviato una richiesta per sostenere questa causa all’assessora provinciale alla Sanità Stefania Segnana. L’istanza è diventata un ordine del giorno del Consiglio provinciale nell’assestamento di bilancio 2019 che però si limitava a un impegno generico a valutare forme di esenzione.

«Un nulla di fatto, per ora», dice Silvia Cristoforetti, che ricorda come in molte altre regioni d’Italia questa esenzione sia già una realtà.

Rispetto a quando ha sentito per la prima volta la storia di Angelina Jolie, ora la giovane insegnante è molto più fiduciosa per il futuro. «Io stessa quando ho letto del suo ricorso alla chirurgia ho pensato: «Non lo farei mai. E’ la conoscenza che fa la differenza». «Spero davvero che per quando le mie bambine saranno grandi - come portatrice di mutazione ho il 50% di possibilità di trasmetterlo - la scienza abbia fatto ulteriori passi avanti».

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