Trento calcio senza pace, le ragioni di Gabrielli

Luciano Gabrielli ha gettato la spugna. Quelle sensazioni di frustrazione e di impotenza, avvertite con forza durante la gara di Lecco, hanno evidentemente preso il sopravvento e spinto il 58enne allenatore trentino a lasciare l'incarico che aveva assunto poco meno di un mese fa, quando era subentrato a Marco Melone sulla panchina gialloblù

Luciano Gabrielli ha gettato la spugna. Quelle sensazioni di frustrazione e di impotenza, avvertite con forza durante la gara di Lecco, hanno evidentemente preso il sopravvento e spinto il 58enne allenatore trentino a lasciare l'incarico che aveva assunto poco meno di un mese fa, quando era subentrato a Marco Melone sulla panchina gialloblù.
Solo con i suoi pensieri nel lungo viaggio di ritorno in macchina domenica sera, dopo il brutto tonfo in riva al lago di Como, Gabrielli ha maturato una decisione che in realtà aveva già cominciato a frullargli per la testa da qualche giorno, come spiega lui stesso: «La decisione di lasciare non è stata influenzata dal risultato di Lecco. La sconfitta è stata pesante, è vero, ma non vorrei che qualcuno pensasse che mi sia arreso solo per questo motivo. Sono un uomo di sport e so bene che si può vincere come perdere. La partita di domenica non ha pesato in maniera decisiva sulla mia scelta di mollare».
Le ingerenze, le pressioni esterne, una certa confusione dei ruoli all'interna della società, un rapporto non semplice con i giocatori, possono essere diversi i fattori che hanno spinto Gabrielli a prendere in mano il telefono, ancora nella serata di domenica e comunicare a Piervittorio Belfanti la sua intenzione di farsi da parte: «Me ne vado ma non mi dimetto», ci tiene a precisare, anche se il confine tra l'andarsene e il dimettersi appare così sottile e flebile.
«Non è stato un gesto di rabbia - aggiunge Gabrielli -. Ho preso questa decisione serenamente ma con altrettanta decisione. E' chiaro che mi dispiace perché avrei voluto aiutare questa squadra a risollevarsi. I risultati ? Non sono stati quelli attesi, ma non hanno influito. Ero perfettamente consapevole quando ho accettato questo incarico che non sarebbe stato affatto facile riuscire a dare la svolta ad un campionato così impegnativo».
Cosa non ha funzionato allora? «I motivi potrebbero essere molteplici e non mi sento di star qui ad elencarli. Una cosa posso dire, purtroppo durante queste settimane non ho mai potuto allenare come avrei voluto. Ho fatto tanta, troppa fatica».
Nessun accenno alla "strana" trasferta di Lecco, con il tecnico in macchina accompagnato da un dirigente, e la squadra distribuita su tre pulmini da nove posti, una soluzione che non è parsa il massimo sia dal punto di vista organizzativo che sotto il profilo dell'immagine. Pensando al fatto che i tifosi hanno viaggiato e cantato allegramente, almeno all'andata, tutti insieme su un pullman granturismo. E non erano certo loro quelli che avrebbero dovuto fare gruppo e caricarsi a vicenda in vista di una partita così delicata e importante. Il suo è un addio senza polemiche che dà la misura dello spessore morale, prima ancora che tecnico dell'uomo Gabrielli. «Ringrazio comunque la società per l'opportunità che mi ha dato di allenare in una piazza importante come questa e auguro alla squadra di risollevarsi presto. Quando anche i nuovi innesti saranno in condizione credo che il Trento sarà sicuramente in grado di rimettersi in carreggiata. Domenica purtroppo abbiamo pagato a caro prezzo le assenze, senza Morano e Zamboni, infortunati, non è stato possibile mettere in campo una linea difensiva all'altezza della categoria. E in campo lo si è visto chiaramente».

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