Defibrillatori in campo, società dubbiose
Ad essere in fibrillazione sono proprio le società sportive, quelle stesse che, dilettantistiche e professionistiche che siano, in base a un decreto del governo, devono garantire la presenza negli impianti dei defibrillatori. E di chi li sappia usare, ovviamente. Una misura per aumentare la sicurezza degli atleti, ma che rischia di mettere in seria difficoltà molte realtà minori. Senza contare il problema delle responsabilità per chi dovesse usarli
Defibrillatori obbligatori per le società sportive dilettantistiche e professionistiche. È una della novità contenute nel decreto firmato dal ministro della salute, Renato Balduzzi, di concerto con il ministro per lo sport, Piero Gnudi, che introduce anche nuove disposizioni sui certificati medici per l'attività sportiva amatoriale e per gli alunni che svolgono attività sportiva non agonistica.
Una rivoluzione accolta con preoccupazione e più di una perplessità soprattutto dal mondo dell'associazionismo sportivo. Se, infatti, la necessità di migliorare la sicurezza sportiva viene salutata positivamente da tutti gli esponenti delle varie discipline, il nodo delle «responsabilità» per chi si assume l'onere di usare il defibrillatore, appare ancora tutto da chiarire, come quello che riguarda i costi da affrontare e la formazione.
Le società dilettantistiche hanno 30 mesi di tempo per adeguarsi, quelle professionistiche invece 6. Gli oneri, secondo le notizie emerso fino ad ora, saranno a carico delle società, che potranno associarsi se operano nello stesso impianto sportivo o accordarsi con i gestori degli impianti perché siano questi a farsene carico. Il decreto ministeriale prevede poi che sia presente personale formato (si fa riferimento a centri accreditati) e pronto a intervenire.
Ettore Pellizzari , presidente della Federazione trentina del calcio, esprime timori e perplessità: «Sono molto critico - ammette - Nel nostro Paese c'è la migliore legge per la tutela medico sportiva e uno screening esteso che non ha pari altrove. Dopo la disgrazia che ha colpito un giovane atleta e suscitato grande emozione (la morte di Piermario Morosini ndr) è nata questa proposta - prosegue - Io non sono contrario all'uso del defibrillatore e credo che salvare una vita valga anche un miliardo. Ma vorrei capire bene a quali responsabilità vanno incontro i presidenti delle società dilettantistiche e chi, poi, deve usare questo defibrillatore. Io immagino che, con tutta la buona volontà e la sensibilità, il Calavino, la Spormaggiore o l'Azzurra, per citare alcune società, si daranno da fare per far partecipare le persone ai corsi di formazione, ma durante la settimana è più che probabile che durante le attività di allenamento queste persone non siano presenti. Se capita qualcosa in quel momento i nostri volontari a quali responsabilità vanno incontro?». C'è poi il nodo formazione. «Esistono protocolli internazionali, che prevedono una formazione breve. Qui, invece, la Provincia organizza corsi molto più consistenti per il carico orario. Io credo invece che si debba fare in modo che la formazione sia il più diffusa possibile. Mi auguro - conclude - che questi elementi vengano chiariti e semplificati».
Perplessità traspare anche dalle parole di Giorgio Malfer , presidente della Federazione di atletica leggera del Trentino. «Nel mio staff ho una cardiologa e con lei di questo abbiamo giù parlato. Il problema grosso non sarà tanto quello del costo, che pure esiste, ma il nodo di chi usa il defibrillatore e le responsabilità che ne derivano - spiega - Noi saremmo anche disponibili, l'iniziativa può essere meritevole, ma con tutte le garanzie del caso. Mi pare che sia una boutade nata sull'onda dell'emotività. E chi sa riconoscere con certezza - aggiunge - se una persona ha bisogno o meno di essere defibrillizzata. Troviamo una via di mezzo - suggerisce - Avere un defibrillatore sull'ambulanza e obbligare tutti ad averla. Noi lo facciamo quasi sempre e se non c'è un medico la gara non parte».
Più positive le prime impressioni di Massimo Dalfovo , presidente del comitato trentino della Federazione pallavolo, che pure distingue il mondo dei professionisti da quello dei dilettanti: «Nei professionisti direi che avere il defibrillatore è fondamentale, ma da tempo l'idea è quella di portarlo a livello dilettantistico. Certo, serve qualcuno che lo sappia usare e, forse, soprattutto a livello minore, si può intanto puntare sulla prevenzione legata alle visite medico sportive. In questi 30 mesi cercheremo di capire come comportarci, visto che molte società sono già alle prese con problemi economici. Ma bisogna anche dire che quando c'è di mezzo la salute si deve fare di tutto per ridurre i rischi, tenendo presente che non si può prevedere tutto».
«Non c'è dubbio che tutto quello che può migliorare la sicurezza dello sportivo va sostenuta», premette invece Paolo Crepaz , rappresentante della Federazione medico sportiva nella giunta del Coni, che indica la necessità di rispondere ad alcune domande. «Le modalità con le quali questo si intende attuare richiedono una nuova competenza e una nuova responsabilità per i dirigenti delle società sportive e su questo occorre riflettere, perché non è così semplice. Ci auguriamo che i dettagli del decreto possano chiarire quelle logiche perplessità sorte, non tanto sulla sicurezza, ma sulle modalità di utilizzo previste, perché suscitano qualche preoccupazione sulle responsabilità delle persone». E anche Crepaz tocca il tema della prevenzione: «Credo che le visite preventive abbasseranno di più le potenziali morti da sport, rispetto al defibrillatore. Ma anche sull'attuazione di questa parte del decreto ho tanti punti di domanda. Da quanto ho letto a medici di base e pediatri sono affidati visita ed elettrocardiogramma. Ma quanti di loro si assumeranno la responsabilità della lettura dell'elettrocardiogramma? La prevenzione è la strategia migliore, ma questo aspetto nella sua dimensione attuativa va studiato».