Mosna: «Ciclo finito»
A dieci giorni dalla conquista della vittoria più bella, il terzo scudetto vinto in casa al tie break di gara 5, patron Diego Mosna annuncia la rivoluzione in casa Trentino Volley: budget tagliato, stelle in vendita, ingaggi ridotti
Diego Mosna annuncia una forte riduzione del budget, con la conseguente vendita di alcune delle stelle della squadra. A pochi giorni dalla conquista dello scudetto un duro colpo per i tifosi trentini. Ecco l'intervista realizzata da Guido Pasqualini, tra passato e futuro, tra volley e politica.
«Dal punto di vista ideale, sarebbe stato perfetto chiudere definitivamente quest'anno ogni attività agonistica importante. Abbiamo concluso un ciclo di 13 anni in cui abbiamo vinto 14 trofei con un palmares straordinario concentrato in 6 anni. Marilyn Monroe vecchia non l'abbiamo mai vista per cui ce la ricordiamo in tutta la sua bellezza. Con Brigitte Bardot non è così. Sarà banale come esempio, ma dopo aver avuto la squadra di club più forte di ogni tempo adesso è dura far qualcosa d'altro».
Se l'Itas Diatec Trentino, al termine di una battaglia di due ore e mezzo, non avesse vinto il suo terzo tricolore, oggi saremmo forse qui ad annunciare la rinuncia dei campioni del mondo. Così non è, ma patron Diego Mosna, imprenditore di razza e uomo pragmatico, dopo aver vinto tutto il possibile, d'ora in avanti guarderà più al bilancio che alla bacheca dei trofei. In questa intervista all' Adige , spiega cosa e come cambierà la squadra più forte del mondo. Che, dalla prossima stagione agonistica, dovrà ridimensionare i propri obiettivi.
Presidente, durante il campionato si è vociferato di un suo possibile abbandono. È stanco?
«Non si può essere stanchi di fare il presidente di una società di vertice che ha dato tanto e può dare tanto, con un potenziale unico. C'è però la difficoltà di trovare le risorse per andare avanti. Questo è il vero problema. Lo sforzo compiuto quest'anno a mantenere questo livello, lo possiamo fare un anno e poi basta. La prossima stagione agonistica sarà quella del grande cambiamento».
A budget invariato?
«Neanche lontanamente possiamo pensare di contare sul budget del campionato appena concluso».
Di che cifre parliamo?
«Abbiamo sfiorato i 6 milioni di euro a fronte di ricavi mancati per un terzo».
Per colpa della Final four di Champions mancata?
«No, a causa di sponsorizzazioni su cui contavamo che poi non siamo riusciti a ottenere. Non voglio accusare nessuno, la situazione dell'economia è questa. Come gruppo Diatec abbiamo dovuto metterci tutto quello che mancava ma l'anno prossimo non riusciremo più a farlo. Ora dobbiamo determinare le entrate certe. Quando le conosceremo, decideremo che squadra fare. È chiaro fin d'ora che non potrà essere la stessa della stagione appena conclusa».
Come agirete? Riducendo gli ingaggi o vendendo giocatori?
«Dovremo per forza intraprendere entrambe le strade».
Ciò significa che, oltre alle preannunciate partenze di Stokr, Bari e Chrtiansky, se ne andranno altri giocatori?
«Sicuramente. Abbiamo i migliori titolari al mondo e quindi, per fortuna, sono richiesti. Vedremo con quali chiuderemo e chi vorrà andarsene. Di certo dovremo procedere a cessioni importanti».
Quindi anche un altro titolare?
«Più di uno, a meno che nei prossimi giorni non intervengano fattori straordinari. Cosa che non penso. Dobbiamo essere molto più realisti e impegnare soltanto le risorse certe a disposizione. E questa è la novità rispetto agli anni scorsi».
Kaziyski e Juantorena resteranno?
«Non lo so, davvero, penso sarà difficile. Per i giocatori abbiamo speso 3 milioni e mezzo di euro. Se mancano 2 milioni per i giocatori, bisogna tagliare. Si deve vedere cosa è vendibile e se troviamo da vendere».
Russi e turchi i soldi li hanno.
«Non è però che tutti hanno bisogno di giocatori così».
Mister Stoytchev resterà?
«Sì, manca poco al rinnovo. È solo una questione economica. Anche a lui abbiamo chiesto un sacrificio economico sul compenso ed è difficilissimo proporlo a chi ha vinto così tanto. Merita ben altro, ma oggi la nostra società non può più spendere quello che spendeva prima. A tutti viene chiesto un sacrificio».
Sarà una squadra meno forte?
«Probabilmente sì, ma io preferisco dire che sarà solo una squadra diversa. Rinunciare alla serie A1 sarebbe stato dare un colpo al sistema della pallavolo nazionale e al nostro settore giovanile. Quindi stringiamo i denti, serriamo le fila e cerchiamo di costruire una squadra competitiva, magari con giovani promesse che potrebbero riservarci bellissime sorprese».
Sarà dura da spiegare a Stoytchev che ogni anno parte per vincere tutto.
«Ne abbiamo discusso a lungo e anche lui accetta di iniziare un nuovo ciclo con cui, se tutto andrà bene, prevediamo di ritornare a giocare un ruolo di team leader a livello internazionale con un percorso progressivo di inserimento di giocatori giovani. Una volta definito il budget, avremo un mese e mezzo, fino a metà luglio, per costruire la squadra. Vediamo quanto denaro abbiamo a disposizione, lo dividiamo fra settore giovanile, staff tecnico e staff medico e poi definiamo la squadra».
Ma l'Itas resterà al vostro fianco?
«Certo, con cifre importanti ma ridotte e indirizzate al settore giovanile».
Nel senso che la compagnia assicurativa non sarà più main sponsor della prima squadra?
«Non penso proprio. Al momento la squadra si chiama Diatec Trentino. A noi manca il main sponsor che ha un valore importante. Quest'anno abbiamo avuto 33 partite su 48 trasmesse in diretta televisiva, per non parlare dei giornali, della radio, della web tv e della visibilità garantita dalle tre coppe vinte. Vorrei vedere quanto paga negli altri sport un main sponsor per avere un ritorno d'immagine simile. Sono certo cifre più importanti di quelle ricevute da noi. Sia chiaro, non è una lamentela ma una constatazione».
Torniamo alla finale scudetto. Ha temuto di perderla dopo l'infortunio in gara 4 a Raphael?
«Contavamo sul compattamento della squadra, come è avvenuto. Abbiamo conquistato lo scudetto con metà panchina: oltre a Sintini avevamo in campo Burgsthaler al posto di Djuric e Colaci schierato anche in fase di ricezione. Ha vinto tutta la squadra».
A chi la dedica?
«Ai nostri tifosi, nel senso più ampio del termine. In testa il primo di loro, il compianto Edo Benedetti. Poi quelli che ci hanno accompagnato nelle trasferte più strampalate e più lontane e coloro che ci hanno sostenuto, gli sponsor. Senza di loro, questi risultati non li avremmo ottenuti».
Nella finale scudetto il tifo è risultato determinante al PalaTrento.
«Nel nostro palazzetto si avverte un magnetismo unico e i nostri tifosi sanno trasmetterlo in maniera straordinariamente positiva».
A proposito di persone fuori dall'ordinario, la storia di Sintini è un magnifico spot per Trentino Volley e tutto il mondo della pallavolo.
«La sua carica unica di umanità, spiritualità e positività è un segnale importantissimo per il mondo del volley e per chi non crede nel destino. Fu una idea mia, subito approvata da Stoytchev, quella di sentire un giocatore che veniva sì da problematiche importanti ma che aveva anche un'esperienza sportiva e di vita uniche e che poteva essere un valore aggiunto nello spogliatoio, nella società e nel nostro gruppo di lavoro. Senza tante riflessioni e tanti calcoli di convenienza l'ho chiamato e in un unico incontro abbiamo trovato l'accordo. È stata un'esperienza piacevolissima».
Con il libero Andrea Bari, bandiera della squadra, il divorzio non sembra essere stato dei più sereni.
«Con lui il rapporto è stato, è e sarà sempre eccellente. Con il suo procuratore magari un po' meno. Al giocatore saremo sempre riconoscenti per otto stagioni importantissime in cui ha contribuito, al pari dei migliori schiacciatori, a tutti i trofei conquistati».
Le piacerebbe vedere Osmany Juantorena in nazionale?
«Chi non lo vorrebbe? È un giocatore importantissimo, per la nazionale. Si è fatto troppo chiacchiericcio attorno a questa storia, a partire dai suoi potenziali compagni di squadra ai quali è stato dato troppo spazio e valore per critiche davvero fuori luogo».
Ha fatto discutere anche la bandiera di Cuba indossata da Osmany alla consegna della coppa dello scudetto.
«Alle provocazioni ha risposto con una provocazione. Non va dimenticato che lui ha ancora la famiglia a Cuba, un regime totalitario che prevede la violenza verso chi non rispetta le loro regole, situazioni che per noi fanno parte di un lontano passato. Pur essendo italiano, ha mostrato quella bandiera al collo a mo' di protezione per far vedere alla sua federazione e a tutta la polizia di stato cubana che gira intorno che lui è ancora amico di Cuba, la sua patria originaria».
Quale giocatore le piacerebbe avere in squadra?
«È difficile, sono abituato troppo bene. I nostri giocatori sono unici, in assoluto i migliori al mondo, per cui è davvero complicato desiderarne altri. Io ho una fiducia straordinaria nel nostro Simone Giannelli, sedicenne palleggiatore della nazionale pre juniores che ha caratteristiche di campione. Punteremo molto sul nostro vivaio e e su altri giovani, italiani e stranieri, che potenzialmente possono ambire a diventare campioni nella migliore squadra di club mai esistita»
Quante squadre giocheranno in A1?
«Penso 13 o 14. A fronte delle rinunce di Vibo Valentia e San Giustino, oltre a Taranto ci sono altre realtà interessate, come Monza e Sora».
Infine una divagazione. A ottobre si candiderà alle elezioni provinciali?
«In una situazione confusa come questa, non vedo un punto di chiarezza a meno che non ci sia una strategia a tavolino finalizzata a un accordo con Pacher che alla fine sarà il Napolitano del caso e con la sua candidatura, già programmata dal centrosinistra, sarà il salvatore. E se c'è Pacher, persona che stimo, candidarsi diventa un azzardo e un dispendio di energie inutile. Chi potrebbe avere chanches?».