Platini, dal campo alla scrivania 60 anni vissuti da "Le Roi"

Al trentesimo compleanno Michel Platini era all’apice della carriera, stava per alzare il terzo Pallone d’oro ma aveva appena vissuto l’Heysel, una tragedia che nonostante gli ulteriori successi conquistati pesò molto sulla sua scelta di mollare tutto solo due anni dopo. Allo scadere dei 60 anni lo si ritrova ancora ai vertici, stavolta nel governo del calcio, pronto a scalare anche l’ultima vetta, la presidenza della Fifa.

Calciatore sublime, uno dei «numeri 10» da leggenda, uomo intelligente, arguto e  caparbio, Platini ne ha fatta di strada da quando nel villaggio di Jouef, in Lorena, dava i primi calci ad un pallone, strumento che imparò a domare come pochi altri e con cui ha ammaliato avversari e tifosi. Tra reti e vittorie, magie e trofei - inutile fare elenchi di coppe e titoli per chi ha mancato solo il Mondiale: «Nel 1986 avremmo dovuto vincerlo, eravamo i più forti, ma Giresse ed io non eravamo al meglio», si rammarica ancora ricordando quel terzo posto - il Platini calciatore è nella mente di tutti ma il dirigente vuol lasciare un segno altrettanto forte. Sua è stata l’idea di allargare l’accesso alle competizioni - Champions ed Europa League, Europeo a 24 squadre - e di stringere sulle regole, vedi la diffidenza per le tecnologie («il calcio deve rimanere umano»), l’introduzione del fair play finanziario o la lotta al razzismo. L’Uefa era un’altra prima del suo arrivo nel 2007, come il calcio prima delle sue punizioni, anche se i critici non mancano, specie ora che Platini sembra pronto al balzo sulla Fifa. La vicinanza a Blatter, del quale ha condiviso per anni la gestione, potrebbe giocagli contro, anche se ora è nel campo avverso.

Un periodo grigio, ma sempre da primo della classe, fu quello da ct della Francia. Quattro anni, dall’88 al ‘92, segnati dalla mancata qualificazione al Mondiale in Italia e dalla brutta figura all’Europeo in Svezia. Gli anni d’oro furono senza dubbio quelli in bianconero, un quinquennio di felicità e popolarità senza limiti e il primo dei suoi tifosi era l’Avvocato Agnelli, che lo strappò all’Inter. «Mi ha donato la libertà, la fama, la possibilità», ha detto di lui Platini il giorno della prima elezione alla presidenza Uefa. «Se non mi avesse voluto non sarei andato alla Juve. E se non fossi andato, non sarei il Platini che sono, la mia storia sarebbe stata diversa e probabilmente non sarei all’Uefa».

La rivista France Football, oltre a tributargli tre Palloni d’Oro, lo ha definito calciatore francese del secolo, mentre lui dà lo scettro mondiale a Pelè. Regista votato al gol, ha segnato molto più di tanti attaccanti, ma la rete che non dimentica - oltre all’amarissimo rigore della vittoria sul Liverpool nella partita all’Heysel - è quella annullata contro l’Argentinos Juniors in coppa Intercontinentale, poi vinta ai rigori dalla Juve, nel dicembre 1985: aveva fatto passare la palla sulla testa di un avversario per riprenderla al volo di sinistro e infilarla nel ‘settè, ma il fuorigioco di un compagno cancellò la prodezza. Le immagini di quel gol e di Michel che subito dopo si sdraia sull’erba con la testa appoggiata ad una mano, tra l’incredulo e l’ironico, dicono di lui molto più di tanti racconti. Quella pagina si è chiusa, ma «Le Roi» ha continuato a scrivere la sua storia con bravura e abilità, facendola rimanere un bestseller.

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