Il volley dei sordi vuol farsi sentire
La sfida di Alessandra Campedelli in panchina per il figlio Riccardo
Ha allenato Ata Trento e Trentino Volley per molti anni ed è stata la selezionatrice femminile per i Trofei delle Regioni per 12 anni. Da quest'anno allena le giovanili della Calzedonia Verona, ma anche la squadra maschile della prestigiosa Associazione Sportiva «Lodovico Pavoni» di Brescia.
Alessandra Campedelli da quest'anno ha provato a immergersi in una nuova avventura, molto particolare e per questo anche molto stimolante. Due volte a settimana Alessandra prende la macchina da Mori assieme al figlio Riccardo e si dirige a Brescia per fare allenamento. Sì, verso Brescia perché lì vi è una squadra di pallavolo composta esclusivamente da atleti sordi: Riccardo gioca, Alessandra allena.
Curiosa questa sua nuova avventura.
«Molto stimolante, ho deciso di mettermi alla prova anche per consentire a mio figlio Riccardo di relazionarsi con altri ragazzi come lui. È una esperienza che mi sta regalando proprio tanto, devo mettermi sempre in discussione con me stessa, essere molto elastica e consapevole di quanto a questi atleti possa passare dal mio "non verbale"».
Perché fino a Brescia?
«Triste da dire, ma qui in Trentino non ci sono associazioni sportive di pallavolo per i sordi. I sordi ci sono, ma spesso le famiglie non sono, a mio parere, ancora consapevoli di quali e quanti siano i vantaggi derivanti dal confrontarsi con ragazzi che hanno la loro stessa problematica. Io ho provato con mio figlio Riccardo e posso garantire che questa scelta lo ha veramente cambiato, rinforzato e fatto crescere nella sua autostima e nella accettazione "attiva" del suo deficit. Il confronto con solo ragazzi udenti, per i ragazzi sordi, credo rappresenti una parte indispensabile nella crescita relazionale ma non unica, soprattutto nell'ottica di formare una personalità autonoma ed equilibrata, mantenendo la consapevolezza delle proprie difficoltà. Solo così, riconoscendo senza vergogna la propria sordità, si potrà intraprendere una vita serena e senza limiti?posti spesso dall'ignoranza, in senso buono, di chi non conosce una problematica spesso, anzi quasi sempre, invisibile come la sordità».
Ci racconti questa nuova avventura.
«È una realtà molto bella Ho in palestra 12 ragazzi di tutte le età, dai 14 ai 35 anni, completamente sordi perché anche quei pochi che possono sentire tramite la protesi acustica, in partita sono costretti, dal regolamento, a toglierla. Sono ragazzi che vengono da tutta la penisola perché, in Italia, esistono solamente quattro formazioni composte esclusivamente da atleti sordi che partecipano al campionato di serie A. I miei atleti giocano in campionati federali come la Prima divisione, la serie D o B2 assieme a persone normo udenti. In più, conciliando il tutto con gli altri impegni sportivi Fipav, appena possiamo ci troviamo assieme per disputare il campionato italiano per sordi. Chi lo vince, accede alla Champions. Alcuni dei nostri atleti fanno parte della squadra nazionale, che come Federazione Sport Sordi Italia (Fssi) partecipa ai Europei e Olimpiadi (in Turchia nel 2017)».
La comunicazione in campo come funziona?
«In allenamento bisogna stabilire strategie e movimenti ben chiari e definiti anche perché , chiaramente, il chiamare la palla durante il gioco non risolve le cose. Il linguaggio del corpo è fondamentale. L'arbitro va da loro guardato e non sentito fischiare. Per esultare urlano ed urlano forte, ve lo assicuro? Anche se magari non si sentono, serve loro per caricarsi! Alcuni di loro comunicano con il linguaggio Lis (linguaggio internazionale non verbale, ndr), altri attraverso il movimento delle labbra».
C'è molta gente che segue le vostre partite?
«Purtroppo no! Mi piacerebbe avesse più seguito, più pubblico, ma attenzione: ci tengo a precisare che chi ha intenzione di venire a vederci "per compassione", è meglio che ne faccia a meno. A noi dà fastidio la compassione. Venite invece a vederci come appassionati di pallavolo e vi accoglieremo a braccia aperte. In Italia c'è poca attenzione e poca cultura dell'accoglienza nei confronti di questa invisibile disabilità. Perché secondo voi gli atleti della Nazionale Sordi devono spesarsi quasi in tutto, mentre i colleghi della Nazionale Udenti no? Come tutti ben sanno non è facile dover dipendere sempre dalla bontà e sensibilità dei singoli. Desidero, a questo proposito, ringraziare Giorgio del Cadin Sport che ci ha regalato 15 magliette: preziose per l'utilizzo, ma ancor più per la frase stampata "Train hard and Always...BE YOUR BEST" (allenati duramente e fai sempre del tuo meglio)».
Alessandra è un fiume in piena?
«Sono seri nell' impegno, determinati, con una forza d'animo straordinaria. Vivono lo sport come esperienza di vita. Sono molto empatici, basta uno sguardo per capire e capirsi. Alla fine dei primi allenamenti sono venuti da me a spiegarmi cosa dovevo migliorare nella comunicazione, mi hanno dato consigli, una nuova metodologia d'approccio. Sono stati momenti molto belli in cui mi sono sentita accolta e accettata per diventare una di loro».