Mihajlovic pronto a riprendere il mano il Milan Il rischio di non centrare obiettivi in questa stagione
Finalmente si torna in campo. Lo avrà pensato sicuramente Sinisa Mihajlovic, uscito indenne da queste due settimane di fermo. Indenne ma molto provato, sopratutto dalle mille parole dette e scritte sul suo futuro e non solo. Anche Silvio Berlusconi ci ha messo del suo, mandando frecciate e tendendo la mano. I risultati e il campo daranno il verdetto finale sul tecnico rossonero, anche se per molti sembra tutto già scritto. Non solo il campionato sarà decisivo, e quindi la partita di Bergamo contro l’Atalanta di domani, ma soprattutto la finale di Coppa Italia.
Sinisa è consapevole di tutto questo, anche se sarebbe sempre riduttivo giudicare un’intera stagione da una sola gara: “Io capisco bene l’aspetto motivazionale delle parole del presidente, so quanto sia importante vincere questo trofeo, sarebbe fondamentale vincerlo per cambiare l’immagine del Milan, sarebbe il primo trofeo per me da allenatore e per tanti giocatori. Spero che non si possa giudicare tutto in una sola partita, perchè puoi perdere la partita dominandola, o vincerla non meritandola. Qui c’è da valutare un anno intero di lavoro e poi dopo si decide. Tutti noi teniamo a vincere la Coppa Italia contro una squadra che ha dimostrato di essere la più forte di tutte”.
Lui ci spera di restare al Milan, nonostante il rapporto non idilliaco con Berlusconi. Una sua permanenza sarebbe già una vittoria, visti gli ultimi anni e le recenti gestioni non impeccabili del club. Mihajlovic dice la sua anche su possibili idee per il futuro, proprio perchè si sente parte integrante di questo Milan.
Lui prenderebbe uomini più che giocatori di nome, ragazzi pronti al sacrificio più che prime donne: «Ci vorrebbero pochi e mirati investimenti, servono giocatori motivati e di qualità. Però ripeto che per tutto ci vuole tempo. Da CT della Serbia ho cambiato tantissimi giocatori, erano tutti giovani che hanno avuto la possibilità di giocare e ora stanno facendo la loro carriera. In campo vanno i giocatori e non i nomi, le motivazioni sono fondamentali. Non si deve guardare il nome, ma se il giocatore può essere utile o meno alla squadra».
In questo senso alcune scelte societarie si sono rivelate errate anche quest’anno, come per esempio riprendere Balotelli o perseverare su Boateng. Meglio forse ripartire da giovani, possibilmente italiani. Questa sembra la nuova linea del club per il futuro, facendo di necessità virtù, non avendo alternative allo strapotere dei petrodollari o dei magnati: «Penso che anche oggi il Milan sia la squadra che schiera più italiani, ogni partita ne utilizziamo almeno sei o sette. Altre squadre non ne schierano nemmeno uno. Ci vuole tempo per un progetto del genere, uno come Locatelli può stare nel Milan, ma gli serve tempo. Per vincere bisogna programmare e dare tempo a tutti. Io divido i giocatori in bravi e non bravi, non in italiani e stranieri».
Lui punterà su quelli bravi, o almeno darà la sua idea su eventuali scelte. Tutti discorsi e pensieri da rimandare, proprio perchè il responso sul suo futuro verrà emesso a stagione conclusa: «Io sono sereno, ho un altro anno di contratto e finchè sarò alla guida del Milan tirerò fuori il massimo da me e dai giocatori. Gli allenatori dipendono dai risultati, alla fine si valuta il lavoro svolto, la crescita della squadra e tanti altri fattori. L’importante è avere la coscienza a posto».
Lui crede di aver fatto il massimo, anche se «potevo fare meglio, così come tutti». Avrebbero potuto dare di più sicuramente Balotelli e Menez, domani destinati ancora alla panchina. Il tecnico serbo non vuole mollare la presa su questo aspetto, e sarà così sino a fine campionato: «Dipende da loro e non da me. Indipendentemente da quanto giocano devono dare il massimo, finchè non sarà così non giocheranno dall’inizio».