Trionfi e delusioni: gli 80 anni sul ring di Nino Benvenuti
"Sono nato per fare il pugile". A 80 anni, li compie il 26 aprile, Nino Benvenuti è "felice, ho fatto quel che volevo, la vita mi ha dato tanto, più di quanto avrei pensato". Vinse l'oro alle Olimpiadi di Roma e avrebbe potuto perfino fermarsi, "ero pago di quel successo, dice. Se non avessi fatto il pugile, non so cosa avrei potuto fare".
Ai suoi match c'era più pubblico che ai concerti dei Beatles o alle finali di Coppa campioni. "Ora la boxe non è passata di moda, dice, ma è uno sport per intenditori, che amano il bello e l'armonia. C'è meno gente, ma la bellezza resta. Il più grande di tutti noi? Sugar Ray Robinson, era l'esecutore migliore dell'arte classica del pugilato, di quel che doveva essere la boxe, un esempio per tutti; Alì ha portato qualcosa che non conoscevamo e faceva ciò che altri non sapevano fare". Di se stesso, il vecchio campione dice: "Sono stato un modesto pugilatore che ha avuto qualche successo, un po' chiacchierone, mi seguivano sui giornali".
In realtà Benvenuti era vincente, simpatico, un bel ragazzo sempre allegro, era il fidanzato d'Italia negli anni del boom e del ritrovato orgoglio nazionale. Un personaggio copertina, un'icona. Milioni di italiani si alzavano di notte per seguire alla radio i suoi match con Griffith a New York. Ma non fu tutto oro, e Nino pagò a caro prezzo - lui sposato e con 2 figli - la storia d'amore con Nadia, che sarebbe poi diventata la sua seconda moglie. Dopo la vittoria mondiale fu ricevuto al Quirinale e anche il Papa lo aspettava, ma le polemiche sulla sua vita privata spinsero Paolo VI, o chi per lui, a cancellare l'udienza, e lui incassò in silenzio.
La sua boxe era elegante e intelligente; vinceva usando la testa per stanare l'avversario spingendolo ad aprire la guardia. Alle Olimpiadi si trovò di fronte il gigante sovietico Radonyak, più alto e più grosso, che però finì atterrato da un gancio sinistro improvviso. In tanti faranno i conti con quel gancio, Griffith e Mazzinghi certo, ma anche il cubano Rodriguez, un picchiatore durissimo, che nel 1969 stava per togliere il titolo a Benvenuti, ma il triestino lo fulminò a sorpresa, facendogli addirittura perdere i sensi. Quel gancio non funzionò con Carlos Monzon, l'argentino selvatico, montagna di muscoli e violenza. "Diventammo amici, andai a trovarlo in carcere, aveva ucciso la moglie; al suo funerale portai la bara a spalla" ricorda. "Veniva da una infanzia poverissima, tra violenza e sofferenza"
. Il vecchio combattente si commuove per il destino di uno dei suoi tanti avversari, Jupp Elze, l'olandese dallo sguardo perso: "Vedendolo pensai avesse un destino segnato". Nel 1968 Elze, colpito duro da Duran, va in coma e muore. Era dopato, il fisico stremato non solo dai pugni. "La fine di Jupp mi fece pensare, lo immaginai debole e solo" dice Benvenuti che nel 1995 sentì il bisogno di fare qualcosa per i deboli e soli, e andò 3 mesi in India a servire in un lebbrosario con le suore di Don Bosco. "
Ho avuto tanto dalla vita, volevo restituire qualcosa" dice, "lavavo il culo a persone che stavano malissimo". Affiora la malinconia mentre Benvenuti rivanga il passato, l'amicizia col rivale di sempre Griffith, al quale pagò le cure in vecchiaia, la mai sopita polemica con Mazzinghi, il dolore per vicissitudini familiari. Ma nelle parole del campione non c'è negatività, lui resta fedele alla sua immagine di eroe positivo, "ringrazio la vita che mi ha dato tanto e il dopo non mi fa paura"