Dal tumore a Tokyo 2020 Il sogno in bici di Michele
«In bici vai forte. Segui gli allenamenti, credici e vedrai che puoi farcela». Parola di Alex Zanardi, ovvero la dimostrazione vivente che con coraggio e determinazione si può fare di tutto, anche l’impossibile. Frasi che il campione bolognese ha rivolto a Michele Grieco, ventisettenne trentino con un sogno: arrivare a Tokyo 2020, arrivare alle Olimpiadi paralimpiche.
«Io pedalo: finché mi dicono di pedalare io continuo a farlo al massimo delle mie possibilità. Poi vedremo se riuscirò a essere tra i tre convocati». Per capire questa storia bisogna fare un piccolo salto indietro nel tempo. Venticinque anni fa, quando Michele ha solo 12 anni, arriva una terribile notizia. «Ero poco più di un bambino e ho iniziato a sentire male alla gamba. Pensavamo fossero normali sviluppi nella crescita ma poi, dopo qualche mese, mi hanno consigliato di fare una radiografia. Esito: osteosarcoma. Più semplicemente tumore alla gamba sinistra. Con i miei genitori siamo andati in ospedale a Padova. Cure, trattamenti, i cicli di chemio. Poi, a Bologna, l’operazione: un nuovo femore, di ferro, per tornare in piedi. L’alternativa era l’amputazione». L’operazione va bene, lentamente Michele riprende a camminare, dopo allenamenti e fisioterapia. La sua vita prosegue: lo studio, la musica, poi il lavoro e la vita insieme alla fidanzata Sara. Un normalissimo ragazzo, con però quella che lui chiama «la gamba di ferro».
Poi l’incontro, casuale, con alcune frasi di Alex Zanardi. «Ho iniziato a leggere di lui, a informarmi, a seguirlo, a guardare i video delle sue imprese. Ho capito che avrei potuto superare i miei limiti, far diventare un episodio sfortunato della mia vita un’opportunità». Così a febbraio di quest’anno nasce il progetto Iron Man Iron Leg: obiettivo riuscire ad andare alle Hawaii a completare l’Iron Man, la gara più dura del mondo, un triathlon per superuomini. Bici, nuoto e corsa (anzi camminata veloce, perché Michele non può correre): iniziano gli allenamenti, ogni giorno, per diventare un vero atleta.
A fine luglio la prima prova generale, con una mezza Iron Man, ovvero due chilometri a nuoto, 190 in sella e 21 a piedi, su e giù per la Valsugana. Ma, poco prima, un episodio che si rivelerà fondamentale per quello che la storia è diventata oggi. A inizio giugno a Padova si svolge un incontro di reclutamento di Obiettivo 3, una sorta di società sportiva nazionale che si spende per diffondere la pratica sportiva tra i disabili, nata da un’idea di Alex Zanardi, e che ha appunto l’obiettivo di portare 3 atleti a Tokyo.
«Sapevo dell’associazione, ma non volevo andare a quell’incontro: Padova evocava in me brutti ricordi e brutti momenti, lì avevo trascorso i mesi di cura e non avevo intenzione di tornarci. E poi cosa sarei andato a fare? Io avevo in testa il mio Iron Man e basta». Chi invece vede in quell’incontro una chance è Sara, la fidanzata di Michele. Lei fa le carte, prende contatti e iscrive, più o meno segretamente, il fidanzato.
«Alla fine siamo andati. L’ho presa come una gita o poco più. Mi sono presentato come atleta di triathlon, in una giornata in cui ci hanno spiegato il progetto e fatto una serie di test. Non è stata una giornata molto positiva: mi hanno detto che a nuoto e in bici potevo essere competitivo, ma “qualsiasi persona corre più veloce di te”. Poi ho visto Zanardi e sono andato direttamente da lui. Era la prima volta che gli parlavo e gli ho chiesto “Senti Alex, devo capire se sono disabile o no”.
Lui mi ha chiesto quanta massa muscolare avessi nella gamba operata e ho risposto un ottimistico 60%. Lui ha scosso la testa e detto “Scommettiamo che non superi il 40%?”. Beh, gli devo una birra perché ha azzeccato. Poi ha aggiunto che in bici andavo forte». La trasferta padovana finisce senza un risultato o senza particolari novità. Poi, un mese dopo, arriva la telefonata di Francesco Chiappero, il preparatore atletico di Zanardi. «Vieni a Cuneo? Vogliamo farti dei test fisici per la bicicletta».
Michele sale in macchina e poi, in Piemonte, sale in bici. Gli dicono che il test è buono, ma che Obiettivo 3 non può selezionare tutti e che si vedrà. A fine settembre altra chiamata, ma niente di sicuro: «Vieni a Padova, ma non sappiamo se ti prendiamo». Poi un mese fa, la svolta: Michele entra nella squadra. «Hanno reclutato 16 atleti in tutta Italia, in varie categorie e sport, e ci sono anche io. Ora siamo tutti al lavoro in vista di una gara ad aprile a Marina di Massa, che sarà un po’ lo spartiacque per capire su chi vorranno investire per portarlo a Tokyo».
Così, assolutamente per caso, il progetto Iron Man è accantonato: il sogno non sono più le Hawaii e il triathlon, ma Tokyo e le Olimpiadi di ciclismo, categoria C3.
«Da qualche settimana ho lasciato perdere nuoto e camminata e mi alleno solo in bicicletta. Mi seguono i loro preparatori, ho degli allenamenti predefiniti da fare e una App collegata al telefono che misura tutto mandando in diretta i dati a Obiettivo 3: loro vedono il battito, i tempi di recupero, l’affaticamento, i chilometri che faccio, gli esercizi che compio in palestra. Qualche giorno fa ho dovuto interrompere un allenamento dopo pochi chilometri perché avevo rotto la catena e mi hanno subito segnalato che non stavo facendo quanto scritto in tabella. Andare in bici mi piace, ho fatto anche due gare a Madonna di Campiglio e a Peschiera per imparare e mettermi alla prova. Mi hanno detto che per arrivare a Tokyo devo pedalare. Pedalare moltissimo. E io lo faccio, spinto da chi mi sta vicino e da Alex Zanardi, che con il suo carisma ti stimola a dare il massimo. Lo sport ti aiuta ad accettare la disabilità: sono andato sul Manghen in bici come chiunque altro, uguale a chiunque altro, sudando e faticando come ogni ciclista. E stare in sella aiuta a non deprimersi per la disabilità».