Alessandra Tonelli vola a Boston a insegnare calcio
«A metà luglio parto e vado negli Stati Uniti ad insegnare calcio» «Scusa?» «Sì, è la quarta estate che vado Oltreoceano, inizialmente per due mesi, dall’anno scorso invece mi limito a quattro settimane, avendo anche un altro lavoro».
Alessandra Tonelli, trentuno anni appena compiuti, è cresciuta a Cognola ed ha alle spalle una carriera da calciatrice che ancora prosegue, dopo dieci stagioni di militanza nel Sudtirol Damen, una promozione in A (una trentina di presenze e 5 reti) ed un titolo di capocannoniere in A2 grazie alle 18 reti segnate nel 2012/13. Dal 2016 corre e segna con il Trento Clarentia, collabora con la scuola Calcio Calisio, tifa Juventus, ma soprattutto riveste il ruolo di coordinatrice tecnica del CONI Trentino, dopo la laurea in Scienze Motorie a Verona. Fatta la necessaria parentesi di inquadramento, torniamo agli States. Perchè dalle sponde dell’Adige al Massachusetts c’è un bel salto, specie per una ragazza che in carriera ha sempre preferito giocare in società regionali.
«Tutto è successo per caso. Nel 2015 sono venuta in contatto con Joe Palumbo, ex calciatore professionista negli States che dirige una Soccer Academy nello stato di New York e che aveva programmato un tour in Italia, sul Garda. Aveva bisogno di tecnici italiani per i suoi ragazzi e tramite Katia Serra, delegata AIAC per il calcio femminile, ho potuto entrare nel giro. Evidentemente hanno apprezzato le mie capacità e nelle tre estati successive sono volata nel loro campus, per dare una mano nell’allenare centinaia di bimbi, tra i 5 ed i 17 anni. Naturalmente di entrambi i sessi. Quest’anno invece lavorerò tra metà luglio e metà agosto nella VogelSinger Soccer Academy, alle porte di Boston, sempre con ragazzini e ragazzine».
Come è stato vivere un modo diverso di intendere lo sport?
«Nelle prime due-tre settimane l’esperienza è stata frustrante, perché mancava anche a livello personale l’abilità lessicale per raccontarmi e interfacciarmi bene con i ragazzi sul piano tecnico. Superato questo scoglio, si è davvero aperto un mondo. Negli States i giovani sono iperstimolati sul piano fisico: raramente si focalizzano su un solo sport, ma magari nel corso di una stagione frequentano camp di diverse specialità. In fondo, per loro, lo sport è una possibilità per il futuro».
Verso il professionismo?
«Non solo. Lo sport a livello dei college e università può garantire quelle borse di studio necessarie per permettersi di frequentare scuole altrimenti costosissime. Discorso che vale anche per il calcio. Poi c’è l’altra faccia della medaglia e cioè che un ragazzo magari si può ritrovare nella condizione di conquistare una borsa di studio in uno sport diverso da quello preferito e quindi doverlo abbandonare per garantirsi gli studi».
Insomma, lo sport come vero e proprio e mezzo di realizzazione. Praticamente l’inverso che da noi, dove in più situazioni sembra che praticare sport a buon livello vada a discapito della carriera scolastica. Ma veniamo al calcio.
«Naturalmente la Major League Soccer guarda molto all’Europa e all’Italia in particolare e per gli stessi ragazzi dei Camp avere allenatori italiani come nel mio caso è un plus. Si tratta di un movimento equilibrato, tra maschi e femmine».
A differenza dell’Italia.
«Da noi ci sono ancora troppe resistenze culturali, anche se da qualche mese sembra che qualcosa si stia muovendo».
Il seguito mediatico sui Mondiali femminili è stato importante.
«Certamente, non mi aspettavo questo risalto e ne sono davvero contenta. Le ragazze sono state bravissime e vedere che anche i Top Club (Juventus, Milan, ora anche Inter, ndr) si affacciano con sempre maggior convinzione è rincuorante, così come la presenza fissa su Sky del campionato».
Forse sono segnali di un vero inizio.
«Diciamo che l’amo è stato lanciato, ora bisognerà tenere viva l’attenzione, anche in Tv. Credo che il vero riscontro lo si avrà con l’inizio del campionato».
E in Trentino?
«Guarda, se mi avessi fatto questa domanda un paio di settimane fa sarei stata propensa a rispondere che non si avverte nessun input particolare, con poco meno di 200 tesserate. Ma negli ultimi giorni pare che qualcosa si stia muovendo e continuo a cullare il sogno di poter allestire la prima squadra di esordienti».
Il calcio femminile sta trovando dignità.
«Era ora: è uno sport vero, ideale per chi ha voglia di praticarlo a prescindere dal sesso e dai luoghi comuni. E a chi contesta che a livello muscolare è diverso da quello maschile, posso controbattere che nel volley e nel basket le altezze sono diverse, nel calcio invece giochiamo nello stesso campo e con le stesse porte dei maschi. E’ naturale che possano esserci differenze sul piano fisico. Ma sul fronte tecnico e agonistico, è la stessa identica cosa».
Come è nata la passione per il calcio?
«Non lo so, credo fosse innata. Non ho mai voluto giocare ad altro sport se non a calcio. Tanto che a fine giugno mi sono regalata un giretto ad Udine per seguire la finale degli Europei Under 21. Da piccola ero bravina e questo mi ha agevolato ma devo ringraziare i miei genitori che mi hanno stimolata, messa in guardia, supportata ma senza mai esaltarmi, anzi».
Lavoro, allenamenti con il Clarentia, allenamenti con il Calisio: e nel tempo libero?
«Adoro cucinare, soprattutto i primi, ed avere ospiti a casa, anche per una semplice chiacchierata. Non sono tipo da leggere o da tv: preferisco uscire o fare sport. Che ne so, un giro in montagna, una corsa. E godermi i miei tre nipotini che mi fanno letteralmente impazzire di gioia.
E da grande?
«Il sogno è quello di poter entrare nel mondo scolastico, per aiutare i giovani a capire il senso dello sport e trasmettere gli stessi valori che ho imparato ad amare io. Ecco, mi piace stare a contatto con i giovani, forse grazie alla mia pazienza».
Chi vince la finale dei Mondiali?
«Dopo che hanno battuto l’Inghilterra, quasi certamente gli Stati Uniti».