Ha fermato Dybala e CR7 Stefano Turati, eroe a Sassuolo portiere "mezzo" trentino
L’8 in pagella della Gazzetta dello Sport, un voto che di solito prende un centravanti che fa una tripletta. Le parate su Cristiano Ronaldo, Dybala e Higuain, mica tre attaccanti qualunque. I complimenti a fine gara di Buffon, mica un portiere qualunque. Il tutto all’esordio in serie A, a 18 anni e due mesi: Stefano Turati, portiere del Sassuolo, è il calciatore del momento, idolo tra i tifosi neroverdi ma anche tra quelli nerazzurri dell’Inter, ai quali ha regalato il primo posto in classifica con le sue parate. E poi l’intervista a fine partita, con quegli occhi che sprizzavano felicità, incredulità ed emozione e la dedica alla mamma: «La prima cosa che faccio adesso? Abbracciare la mia mamma».
E quella mamma è Roberta Bonapace, trentina di Madonna di Campiglio. Diventata milanese per amore, per “colpa” di Enrico Turati, domenica ha vissuto una giornata indimenticabile, per merito del figlio.
«Abbiamo vissuto emozioni fortissime - esordisce mamma Roberta - e ammetto che domenica sera è stato difficile addormentarsi. Era notte fonda e io e mio marito eravamo ancora sveglie e ci chiedevamo “Ma cosa è successo?”, “È tutto vero?”. Sono veramente felice per Stefano, è stata una cosa fantastica: l’esordio contro la Juve, poi le parate, il pareggio, i complimenti».
Il calcio è così: bastano 90 minuti per passare dall’essere il terzo portiere di una squadra di provincia con alle spalle sei apparizioni in panchina a diventare un personaggio conosciuto, amato, chiacchierato. E con un po’ di partigianeria possiamo dire che metà del sangue del numero 1, ops, numero 63 del Sassuolo calcio è trentino.
«Io sono di Campiglio, sono nata e cresciuta tra le montagne trentine e me ne sono andata solo per amore. Oggi viviamo a Milano, ma siamo rimasti in tre visto che Stefano ormai vive a Sassuolo. Io, papà Enrico e la sorella Chiara, che ha 21 anni, sci per piacere e studia all’Accademia di Brera, andiamo alle partite, se non altro per vederlo e stare un po’ con lui. Ma anche oggi Stefano ha Campiglio e il Trentino nel cuore, anche se il calcio non ci permette di tornare spesso».
Roberta Bonapace, sorella di Egidio, è molto conosciuta in Trentino per aver lavorato e gestito i rifugi dolomitici più conosciuti a partire dal mitico Graffer. E anche lo zio, maestro di sci, guida alpina e attualmente gestore del Segantini, ha esultato per i successi del nipote, sia con un post su Facebook («Oggi il nipote che ha scelto il calcio e non lo sci ha esordito con il Sassuolo contro la Juve: grande Stefano hai fermato la Juve vai vamosss! Noi tutti siamo con te: grande, gratuliren»), sia ricordandoci del nipote campione: «Adesso con gli impegni del calcio viene meno spesso in Trentino, ma lo ricordo da ragazzino al rifugio. Gli piaceva sciare e stare all’aria aperta. Ed è sempre stato un “mattacchione”: lo ricordo una volta che cantava e ballava su una canzone di Michael Jackson».
«Sciare a Stefano è sempre piaciuto - conferma mamma Roberta - ma poi vivendo a Milano era difficile fare questo sport a livello agonistico. Così da piccolo ha provato con il basket, lo sport di mio marito. Gli piaceva, ma non è scattato quel sacro fuoco che è arrivato con il calcio: Stefano voleva stare all’aria aperto e giocare a pallone. Tuffarsi nel fango e giocare sotto la pioggia gli è sempre piaciuto un sacco».
E infatti domenica a Torino diluviava. Segni del destino. Quello stesso destino che ha portato la mamma dai rifugi alpini agli stadi delle grandi città.
«Ho sempre seguito il calcio, ma non con un interesse viscerale: qualche partita in tv, i risultati il lunedì e poco altro. Ora è diventata una passione: sono felice per il mio Stefano, si è sempre impegnato tanto e questo è il suo momento. Ma deve essere un punto di partenza, fermo restando che quest’anno l’obiettivo è prendere il diploma (Stefano frequenta la Quinta del liceo scientifico a Modena ndr): sia lui sia noi ci teniamo, anche se il tempo per studiare tra allenamenti e trasferte è veramente poco».
Anche il tempo per stare con i genitori è pochissimo: a volte giusto venti minuti per salutarsi a fine partita, quando va bene, ovvero quando la partita è in casa, il tempo per una cena insieme.
«Domenica l’abbiamo sentito al telefono, ci ha scritto un messaggio dicendo “Sono in una bolla, non capisco niente”, ma poi è tornato a casa con la squadra e ci siamo rivisti a cena a Sassuolo. L’intervista con dedica? Non sapevo niente, finché degli amici mi hanno mandato il link del video: diciamo che ha detto mamma ma la dedica era per tutta la famiglia».
Però, c’è da scommetterci, una lacrima da mamma orgogliosa è scesa. Chissà che non sia la prima di una lunga serie per i successi di un figlio, mezzo trentino, con un futuro da campione. Per ora il voto è 8.