Mvt- Il campione trentino di sempre Nuova sfida: Dionisi vs Gross Votate il vostro atleta del cuore
Nuova sfida tra campioni del nostro sondaggio “Mvt - Il campione trentino di tutti i tempi”: oggi è tra il saltatore con l’asta Renato Dionisi e lo sciatore Stefano Gross.
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«Veder sfuggire la medaglia olimpica per soli 5 centesimi dopo essere stato terzo a metà gara è stato più un rammarico che una delusione. Chiudere quarto è bruttissimo sempre, soprattutto in un’Olimpiade». Nessun trentino come Stefano Gross ha saputo conquistare podi nel massimo circuito di sci alpino, 12 in totale, compresa la vittoria di Adelboden 2015. Nessuno come lui è andato vicino ad una medaglia a cinque cerchi.
«Lo slalom si gioca sempre sul filo dei centesimi, ne siamo tutti consapevoli e l’accettiamo, ma quel quarto posto brucia, eccome. Ma conto di avere ancora qualche occasione da sfruttare, nel 2022 alle Olimpiadi in Cina e nei prossimi Mondiali, speriamo nel 2021 a Cortina».
Gioco dei centesimi che già due anni prima (gennaio 2012) aveva rischiato di esaltarlo nella bolgia della Planai di Schladming, nello slalom più importante dell’inverno. Guarda caso l’appuntamento più caro di ogni stagione per il finanziere Sabo.
«Ero in testa, mancava solo Marcel Hirscher che aveva un vantaggio importante. Ma al secondo intermedio eravamo praticamente alla pari e da fenomeno qual era è riuscito a starmi davanti per soli 22 centesimi. Perdere davanti a 50 mila spettatori festanti sarebbe stata una Caporetto per lui e per l’intero sci austriaco e in conferenza stampa, accanto a me, ha confessato di aver avuto parecchia paura di perdere. Tre anni dopo sarei stato ancora secondo sulla stessa pista, dietro a Koroshilov».
Sedici giorni dopo il primo successo in carriera, ad Adelboden.
«Sportivamente è il ricordo più forte, sin qui, senza dubbio. Ma da anni sto lavorando perché non sia l’unico e mi piace cullare e ricordare tutte le volte che sono salito sul podio, non ultima a dicembre in Val d’Isere, dopo un lungo periodo difficile per i malanni fisici a schiena e ginocchio».
Il primo squillo importante Gross lo regalò nel giorno del debutto iridato, a Garmisch nel febbraio 2011 quando chiuse 22°. Ma più della posizione, fu il suo atteggiamento a far dire a Jacques Theolier, il francese tecnico degli slalomisti azzurri, che «vedrete, Sabo farà grandi cose». Una profezia che si è sin qui confermata in almeno una dozzina volte ma che ha rappresentato uno dei passaggi fondamentali per costruire il forte rapporto tra lo slalomista fassano e il tecnico transalpino, restituito al team italiano l’anno passato, proprio per la forte intercessione di Gross.
Cresciuto a pane, hockey e sci, con la pista Aloch di fatto fuori dalla porta di casa, Stefano è l’ultimo rappresentante della scuola fassana di slalom, inaugurata da Angelo Weiss e proseguita con Chiara Costazza e Cristian Deville, tutti capaci di vincere sul massimo circuito.
«Quando Angelo vinse a Chamonix non avevo ancora 13 anni e ricordo l’emozione di quel giorno, mi diede una grande carica e volontà di imitarlo, ancor più degli anni di Tomba. Ero ad una gara, mi pare a San Martino di Castrozza, e ricordo ancor oggi l’eccitazione e l’emozione», Non resta che tornare sul gradino più alto del podio, per riviverla.
Raccontare Renato Dionisi in poche righe è impresa ardua. Un talento enorme con tendini altrettanto fragili, capace di portare il salto con l’asta italiano per la prima volta nella storia ai vertici mondiali, vincendo al Madison Square Garden di New York e al Letzigrund di Zurigo, battendo primatisti e avvicinandosi progressivamente al record mondiale.
Un dato è emblematico in tal senso: nel 1964 il suo primo record italiano di 4,50 distava oltre 70 centimetri dal record mondiale di allora. Otto anni dopo, il 5,45 ottenuto nel giugno ‘72 a Rovereto lo aveva portato a soli dieci centimetri dal 5,55 stabilito pochi giorni prima dallo svedese Isaksson. Un primato italiano che sarebbe durato ben 12 anni, fino al 1984.
Il tutto partendo dai salti nelle campagne del Linfano. «Era il giugno 1963, avevo 16 anni e iniziato da poco a saltare. Finita la scuola, si interrompevano anche gli allenamenti. Allora insieme a Vittorio Colombo, mio storico compagno alla Benacense, ci siamo inventati una pedana nelle campagne vicine a casa mia. Ho creato la fossa per l’imbucata, abbiamo messo insieme dei ritti e costruito delle specie di materassi con le balle di fieno. E dirò, erano molto meglio di quello che si trovava sui campi: a quel tempo si atterrava nella sabbia ed erano ogni volta botte incredibili».
Dalla campagna alle Olimpiadi di Tokyo in meno di due anni. «Era il 1964, avevo 17 anni e solo una vaga idea di cosa fossero le Olimpiadi. Mi sono ritrovato da un momento all’altro accanto a fenomeni di cui leggevo solo sulla Gazzetta dello Sport. È stata un’esperienza devastante, in tutti i sensi. Ancora oggi credo che sia l’emozione più forte che ho vissuto. Ma non chiedetemi delle delusioni, perché non ne ho. Quando le gare vanno male, c’è sempre una ragione e basta fare un esame con se stessi per raggiungere la consapevolezza di cosa non ha funzionato. Può esserci rabbia, ma non delusione. Piuttosto parlerei di un rammarico, quello di non aver mai potuto infilare più di una stagione senza fermarmi. I tendini non mi lasciavano in pace: arrivavo a giugno che faticavo a camminare, tiravo in qualche modo fino a settembre e poi mi toccava un mese di gesso e il conseguente recupero. E l’anno dopo, uguale. Finché non decisi di operarmi, ma non migliorò nulla, anzi, poi non riuscivo nemmeno ad allenarmi seriamente. Sono riuscito comunque a mettere insieme il bronzo agli Europei di Monaco, nel 1976. Ecco, quello sì è stato un miracolo».
E in Baviera, Dionisi, c’era anche quattro anni prima, nelle Olimpiadi del terrore, 1972. «Non volevo assolutamente andarci, non stavo bene, impossibile far risultato. Ma mi convinsero e allora mi presentai, ma senza alcuna speranza, come poi si vide in gara. Per fortuna lasciai il villaggio olimpico un paio di ore prima dell’attentato: la palazzina degli Israeliani era proprio di fronte alla mia camera».
Dalla passione per la moto («la Benelli avrebbe fatto carte false per farmi gareggiare, ma ho resistito alla tentazione), all’asta comprata in pedana dopo che la sua si era rotta in riscaldamento, passando dalle trasferte con il pulmino del macellaio: c’è di tutto nella carriera e negli aneddoti di Renato Dionisi, baffi e pizzetto d’ordinanza, atteggiamento talvolta guascone e la grande capacità di proiettare ai vertici il salto con l’asta italiano.
Tabellone parte sinistra
Tabellone parte destra