Mvt - Il campione trentino di tutti i tempi Ottavi di finale: Simoni vs Scartezzini Votate il vostro atleta del cuore
Il nostro sondaggio #Mvt, per scegliere il campione trentino di sempre, è approdato agli ottavi di finale. Sedici grandi atleti sono rimasti in gara, e oggi si sfidano il celebre campione del ciclismo Gilberto Simoni e il siepista di valore mondiale Mariano Scartezzini. La figura del ciclista è ricordata qui sotto da Nino Marconi, direttore sportivo di Simoni ai tempi della Montecorona. Le doti e le vicende di Scartezzini sono invece tratteggiate dal suo grande amico Giorgio Facchinelli.
Se da ragazzino, Gilberto Simoni aveva un fisico gracile e minuto, quando è arrivato all’età degli juniores ha cambiato passo. E ha iniziato a mettere in mostra le sue doti di ciclista agile e potente, indomabile in salita. Il primo a coglierne le potenzialità è stato Nino Marconi, suo direttore sportivo ai tempi della Montecorona. «Quando andammo a fare i primi test fisici subito divenne chiaro che il ragazzo aveva i numeri per diventare un ottimo ciclista», ricorda Marconi. Che aggiunge anche un aneddoto sulla giornata dei test a Ferrara. «Mentre tornavamo in auto, Gilberto mi chiese di non dire niente a nessuno dei bei risultati emersi dalle prove. Non voleva che magari qualcuno si montasse la testa e cominciasse a pretendere troppo da lui».
Da allora Simoni mise in mostra, oltre alle doti fisiche, anche determinazione e passione. «Penso che volesse bene alla bicicletta quanto alla sua fidanzata» scherza Marconi. «Pensa che si metteva a smontare le ruote per pulirle e, in quella dietro, toglieva ruotino dopo ruotino del cambio per lavarli e ingrassarli. Voleva che ogni meccanismo fosse perfetto. Oggi i ragazzini non sanno nemmeno cambiare un tubolare» ridacchia Marconi.
Il vero salto di qualità a livello professionistico di Simoni, secondo Marconi è avvenuto nel 2000, al rientro dopo la rottura di una spalla. «Quell’anno si vedeva che aveva i mezzi per vincere e infatti l’anno successivo conquistò il suo primo Giro d’Italia. Ricordo ancora quando prese la maglia rosa. Era andato in fuga assieme a Cuapio e poi, nel finale, gli lasciò la vittoria, mentre Gilberto indossava la maglia. Al termine della tappa andai a trovarlo nella sua stanza d’albergo: stava facendo la doccia e io gli stesi la maglia rosa sul letto. Quando uscì gli domandai: avresti mai pensato di poterla indossare? Lui mi guardò e fece solo un gesto con la testa che poteva significare sì o anche no. Ma aveva gli occhi che luccicavano. Poi gli dissi che non avrebbe dovuto lasciare la tappa al suo avversario. Lui mi rispose: “Nino, mi ha aiutato parecchio. Hai visto quanto ha tirato?”. Non dissi niente, ma pensai che era proprio un bonaccione».
All’ultimo anno da dilettante, poi, Gilberto voleva smettere col ciclismo. «Aveva avuto problemi personali dopo la scomparsa del padre e del fratello. Voleva mettersi a fare il muratore. Così con altri amici lo invitammo a cena e gli regalammo una cazzuola dorata. Scoppiò a ridere e capì che non era una buona idea lasciare il ciclismo».
Anche se qualche delusione - assieme a tantissime soddisfazioni - lo sport gliel’ha riservata. Come il mondiale di Lisbona, quando era in fuga lanciato verso la vittoria, e fu riacciuffato da un compagno azzurro: Paolo Lanfranchi. «Fu uno scandalo» ricorda Marconi. «Del resto Lanfranchi era della Mapei, a vincere fu Freire della Mapei, secondo giunse Bettini della Mapei e il Ct era Ballerini, che aveva appena smesso di correre per la Mapei. Gilberto ci rimase malissimo e lo disse apertamente al Ct. E così concluse la sua esperienza in maglia azzurra». M. Bar.
Sono cresciuti assieme, setacciando i boschi del Calisio a caccia di funghi, una vera passionaccia per entrambi. Poi uno, entrato nella Guardia di finanza, ha spiccato il volo per Roma e collezionato successi a livello internazionale nella gare sui 3000 siepi, l’altro, sull’onda proprio di queste vittorie, quasi quarant’anni fa ha fondato una società, la 5 Stelle Seregnano, tuttora molto attiva nel settore giovanile, da cui è uscito anche un campione del mondo di corsa in montagna, Antonio Molinari.
Mariano Scartezzini e Giorgio Facchinelli si conoscono da sempre. A dividerli due anni d’età, a unirli un’amicizia speciale e una grande passione per lo sport.
«Mariano - racconta Facchinelli - viveva a in Santa Maria Maggiore a Trento ma trascorreva tutta l’estate nel paese di origine della famiglia a Seregnano. Trascorrevamo le giornate nei boschi, arrampicandoci sugli alberi o in cerca di funghi».
Già all’epoca Scartezzini dimostrava predisposizione per la corsa: «Con Marco Pasqualini, presidente della Virtus, scherzando ci contendevamo il titolo di primo allenatore di Mariano. Marco sosteneva di essere stato lui perché lo convinse ad abbandonare il calcio per dedicarsi all’atletica, io replicavo che a 14 anni già allenavo Mariano, all’epoca dodicenne. Quell’estate, infatti, acquistai il mio primo motorino con cui salivamo a Bosco di Civezzano, io alla guida e lui dietro sul portapacchi. Quando la strada diventava troppo ripida, il motorino si bloccava e allora facevo scendere Mariano che proseguiva di corsa».
Qualche anno dopo Scartezzini cominciò a mettere in mostra le sue doti. «Emerse nelle non competitive, poi nelle campestri e quindi nelle gare in pista».
In nazionale le soddisfazioni più grandi, con la doppia vittoria in Coppa Europa. Ma in azzurro anche la delusione maggiore, l’impossibilità di gareggiare alle Olimpiadi di Mosca 1980 per il boicottaggio che coinvolse gli atleti dei gruppi militari: «Pazzesco, rimasero a casa e lui e il keniano Henry Rono, i più forti. Vinse il polacco Malinowski. Mariano al successivo Golden Gala di Roma dimostrò di essere in gran forma, ottenendo il record italiano in 8’12’’5».
Facchinelli è un fiume in piena: «Fu un’ingiustizia. I Giochi gli spettavano al mille per cento. Lo Stato gli sbarrò le porte, io tentai inutilmente di convincerlo a lasciare le Fiamme Gialle. Fu un fatto gravissimo. Così sfumò il sogno che ogni sportivo coltiva da ragazzo. Mariano stava benone e si sarebbe portato a casa una medaglia olimpica. Mosca diede la notorietà a Pietro Mennea e Sara Simeoni, le immagini delle loro vittorie sono tuttora virali».
Quali erano i pregi di Scartezzini? «Come atleta era talentuoso, aveva tanta testa e in gara faceva quello che voleva. Partiva in coda al gruppo e piano piano rimontava tutti gli avversari. E aveva la capacità di arrivare in forma agli appuntamenti che contavano. Dal punto di vista umano è una persona molto umile e buona».
E il difetto? «Troppo buono».
Perché votare Scartezzini? «Per dargli quel riconoscimento negatogli da Stato e Federazione nazionale di atletica». G. Pa.
Tabellone parte sinistra
Tabellone parte destra