La morte di Pantani, la madre ai carabinieri: "Quella notte Marco era con due escort"
La famiglia non si dà pace e spera in nuovi sviluppi delle indagini nell'ambito del nuovo fascicolo aperto recentemente dalla Procura di Rimini. La signora Tonina non si dà pace: le resta il drammatico dubbio che il Pirata sia stato ucciso
LA TRAGEDIA Il campione trovato senza vita il 17 febbraio 2004
BOLOGNA. Fra dieci giorni saranno passati 18 anni dalla triste sera di San Valentino quando in un residence di Rimini fu trovato morto Marco Pantani e il ricordo del grande campione di ciclismo non trova ancora pace.
La convinzione della madre Tonina e del padre Ferdinando, e con loro di molti tifosi, è che non tutto sia stato detto e non tutto sia stato accertato sulla fine dello scalatore di Cesenatico, morto a 34 anni.
Nonostante due inchieste archiviate, l'ultima nel 2016, nonostante i processi agli spacciatori che avrebbero ceduto al Pirata la dose letale, la famiglia non si arrende e continua a chiedere verità.
Mamma Tonina è tornata dai carabinieri, a Rimini, ed è uscita dalla caserma dopo tre ore e mezza.
"Marco non era solo la notte che è morto, con lui c'erano due escort", è quello che la donna avrebbe detto ai militari del nucleo investigativo del reparto operativo, che indagano nell'ambito del nuovo fascicolo riaperto recentemente dalla Procura.
Un fascicolo che, però, rimane a modello 45, anche dopo la nuova testimonianza: non si ipotizzano reati e non ci sono indagati.
A sollecitare in qualche modo la ripresa degli accertamenti era stata la commissione parlamentare antimafia, che ha inviato ai magistrati riminesi una relazione dove c'è, tra l'altro, l'audizione, in parte secretata, di Fabio Miradossa, il pusher che patteggiò nel 2005 una pena per spaccio di cocaina legato alla morte di Pantani.
"Marco è stato ucciso, l'ho conosciuto 5-6 mesi prima che morisse e di certo non mi è sembrata una persona che si voleva uccidere. Era perennemente alla ricerca della verità sui fatti di Madonna di Campiglio, ha sempre detto che non si era dopato", le parole di Miradossa, a gennaio 2020, con il riferimento a quanto accaduto in occasione della tappa trentina del Giro.
Quel 5 giugno 1999 segnò un drammatico spartiacque: il campione fu fermato dall'antidoping, perché il livello del suo ematocrito aveva toccato 51.9, oltre il massimo consentito di 50.
Ma secondo mamma Pantani, in quel rilevamento dell'Unione ciclistica internazionale, ci sarebbe stato un vizio di forma.
Il pm riminese Luca Bertuzzi recentemente ha richiesto la registrazione completa della deposizione del pusher.
Lo stesso Miradossa, però, già sentito nell'ambito del nuovo fascicolo, non avrebbe aggiunto nulla di rilevante a ciò che la prima e la seconda indagine sulla morte del Pirata avevano appurato.
Nell'archiviare, nel 2016, la Procura di Rimini definì fantasiosa e priva di fondamento l'ipotesi di un omicidio e la Cassazione, un anno dopo, rigettò il ricorso della famiglia.
Ma la madre, che nel frattempo si è rivolta a un nuovo legale, l'avvocato Fiorenzo Alessi, non molla ed è stata sentita per l'ennesima volta in Procura, dopo aver consegnato un corposo dossier con documenti e spunti investigativi, e ora anche dai carabinieri.
Finora, anche se varie ricostruzioni giornalistiche hanno adombrato scenari alternativi, le inchieste hanno detto che Pantani morì da solo, in una stanza del residence Le Rose, chiusa dall'interno.
Per un'azione prevalente di psicofarmaci, così da far pensare più a una condotta suicida, che a un'overdose accidentale.
È stata fin qui sempre esclusa l'ipotesi di un'assunzione sotto costrizione.
Non hanno portato a risultati neppure gli accertamenti su un presunto intervento della Camorra al Giro d'Italia del 1999, quando Pantani venne escluso per l'ematocrito alto, il 5 giugno. Per il campione quel giorno di giugno a Madonna di Campiglio fu l'inizio della fine.
Una fine tragica e prematura per un grande sportivo, difficile da accettare per tanti appassionati e soprattutto da chi gli voleva bene e che continua a chiedere che sia fatta piena luce.