Lascia il dottore dello sport, va in pensione Alessandro Tenuti: ora è allarme per i certificati
Un'istituzione nel proprio campo, che dopo ventisette anni di attività ha deciso di smettere di lavorare («finalmente», ha scritto) con il 31 dicembre 2022. Una scelta che però non lo lascia pienamente soddisfatto e anzi, accende i riflettori su un problema importante: la mancanza di medici sportivi in provincia di Trento. Ed i tempi d'attesa, che durano mesi, testimoniano le difficoltà del settore
TRENTO. Difficile trovare uno sportivo che a Trento - o meglio, forse in tutto il Trentino - non abbia fatto almeno una volta la visita medica dal dottor Alessandro Tenuti, nella sua Sportime di via Pranzelores. Un'istituzione nel proprio campo, che dopo ventisette anni di attività ha deciso di andare («finalmente», ha scritto) in pensione con il 31 dicembre 2022. Una scelta che però non lo lascia pienamente soddisfatto e anzi, accende i riflettori su un problema importante: la mancanza di medici sportivi in provincia di Trento. Ed i tempi d'attesa, che durano mesi, testimoniano le difficoltà del settore.
Dottor Tenuti, riavvolgiamo il nastro: come ha cominciato a fare questo lavoro?
«Per caso, sono un cardiologo mancato. Ho iniziato in una clinica medica che seguiva i letti dei pazienti cardio-operati pre e post intervento a Borgo Roma, a Verona. Dopo tre anni, il primario mi ha consigliato di fare il test per la medicina sportiva: ho lavorato nel veronese dall'86 mentre mi specializzavo, facendo anche sostituzioni a Trento. Una responsabile, lungimirante, mi ha dato questa possibilità»
Nel 1992 però il suo lavoro è cambiato: perché?
«La Provincia ha dato la possibilità ai medici sportivi di esercitare la libera professione. Mi sono specializzato nel '90 e il mio studio è nato nel dicembre del '95. All'inizio l'ho condiviso con altri professionisti, proseguendo poi in autonomia».
E di sportivi ne ha visti davvero tanti…
«Ho controllato il mio archivio: ci sono 39.589 nominativi, per un totale di oltre 87 mila visite effettuate. In certi anni ne abbiamo svolte tra le 3.600 e le 4.200, incredibile».Molti dicono che lei sia (stato) il più severo di tutti...«Credo che esista un solo modo di lavorare, cioè bene. I liberi professionisti non hanno le spalle coperte, quindi solo se fatto con attenzione questo lavoro ha un vero senso di prevenzione».
Lei va in pensione, ma sorge un problema: in Trentino restano pochi medici sportivi.
«È un problema generale, come per i medici di base. Per un anno ho cercato un collaboratore a cui lasciare l'attività, mandando centinaia di mail. Ma in Italia i posti vacanti sono oltre un centinaio, quindi è chiaro che chi sceglie questa strada preferisca lavorare il più vicino a casa possibile».
E con l'arrivo della pandemia?
«Dopo il lockdown, l'Azienda sanitaria ha comunicato che, non potendo garantire il servizio visto il pensionamento di molti loro medici, gli atleti si sarebbero dovuti rivolgere ai privati. Però non ci hanno informati ed io in appena tre giorni mi sono trovato l'agenda piena per mesi. Sia chiaro, non posso lamentarmi per aver lavorato: ma possibile che non sia stata trovata una soluzione in tempo? Nessuno sapeva di questi pensionamenti? Da sette ci siamo ritrovati in tre».
Come lascia la sua attività?
«Triste e amareggiato. Vorrei che la medicina sportiva cambiasse approccio e che il medico avesse il supporto di collaboratori per le varie mansioni che ora, purtroppo, svolge da solo. La figura dovrebbe essere valorizzata e il modus operandi andrebbe modernizzato».