Scandalo Facebook, Zuckerberg: «La responsabilità è mia»
«Sono responsabile di quello che è successo»: Mark Zuckerberg rompe il silenzio sullo scandalo dei dati personali raccolti su Facebook. «Abbiamo fatto degli errori, c’è ancora molto da fare», scrive sulla sua pagina personale del social media.
«Abbiamo la responsabilità di proteggere i vostri dati, e se non riusciamo a farlo non meritiamo di essere al vostro servizio» scrive Mark Zuckerberg, spiegando in un post sulla sua pagina Facebook che sta lavorando «per capire esattamente cosa è successo e assicurarsi che non accada mai più». «La buona notizia - aggiunge - è che molte misure per prevenire tutto questo sono state già prese anni fa».
Il programma per la raccolta di dati su Facebook fu avviato dalla Cambridge Analytica sotto la supervisione di Steve Bannon, l'ex stratega di Donald Trump. Lo spiega Chris Wylie la 'talpa' che ha provocato lo scandali dei dati rubati. In serata arriva il mea culpa di Zuckerberg: 'sono responsabile'. E dopo le parole del fondatore il titolo risale e in chiusura a Wall Street guadagna lo 0,77%. E Stephen Deadman, Deputy Chief Global Privacy Officer di FB assicura: "siamo fortemente impegnati nel proteggere le informazioni delle persone". Intanto in America scatta la prima class action.
Raccolta dati partì con supervisione Bannon
Il programma per la raccolta di dati su Facebook fu avviato dalla Cambridge Analytica sotto la supervisione di Steve Bannon, l'ex stratega di Donald Trump. Per Chris Wylie - la talpa' che ha provocato lo scandalo - Bannon, tre anni prima il suo incarico alla Casa Bianca, cominciò a lavorare a un ambizioso programma: costruire profili dettagliati di milioni di elettori americani su cui testare l'efficacia di molti di quei messaggi populisti che furono poi alla base della campagna elettorale di Trump.
Facebook a ANSA,risponderemo a Agcom,proteggiamo dati
"Siamo fortemente impegnati nel proteggere le informazioni delle persone e accogliamo l'opportunità di rispondere alle domande poste dall'Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni": lo dice all'ANSA Stephen Deadman, Deputy Chief Global Privacy Officer di Facebook, dopo che l'Agcom ha inviato alla società una richiesta di informazioni sull'impiego dei dati "per finalità di comunicazione politica da parte di soggetti terzi".
Negli Usa scatta la prima class action
Ed è scattata la prima class action contro Facebook e Cambridge Analytica negli Stati Uniti. L'azione legale e' stata avanzata presso la corte distrettuale di San Jose', in California, e potrebbe aprire la strada a molte altre cause collettive per la richiesta dei danni provocati dalla mancata protezione dei dati personali. Dati raccolti senza alcuna autorizzazione - spiegano i promotori dell'azione legale - e che sono stati utilizzati per avvantaggiare la campagna di Donald Trump.
Kogan, io capro espiatorio, tutti sapevano tutto
"Mi usano come capro espiatorio, sia Facebook sia Cambridge Analytica", ma la verità è che tutti sapevano tutto e tutti "ritenevamo di agire in modo perfettamente appropriato" dal punto di vista legale. Alexander Kogan, accademico americano figlio d'espatriati sovietici e docente di psicologia a Cambridge, non ci sta rimanere con il cerino in mano sullo scandalo del momento. E replica dai microfoni di Bbc Radio 4. E' lui, attraverso una sua app, l'uomo che ha raccolto ed elaborato i dati di 50 milioni di utenti di Facebook per poi passarli a Cambridge Analytica, società di consulenza e propaganda politica impegnata fra l'altro nel 2016 a sostenere la campagna presidenziale di Donald Trump. Ma nega di aver ingannato chiunque. E mette inoltre in dubbio che quei dati possano aver avuto davvero un ruolo chiave nella vittoria di Trump.
"La mia idea - dice Alexander Kogan alla Bbc - è che mi vogliono usare fondamentalmente come capro espiatorio, sia Facebook sia Cambridge Anayltica. Mentre noi onestamente pensavamo di agire in modo perfettamente appropriato, pensavamo tutti di fare una cosa davvero normale". Kogan aggiunge di essere stato rassicurato proprio dai vertici di Cambridge Analytica che la cessione dei dati e la sua consulenza con loro fosse "perfettamente legale e nei termini contrattuali". Del resto aggiunge di considerare alla stregua di millanterie pubblicitarie le affermazioni fatte in seguito dal management della stessa Cambridge Analytica di aver avuto un ruolo cruciale per far vincere Trump. "E' un'esagerazione", sostiene Kogan, osservando che la maggior parte di quella montagna di dati sarebbe stata più adatta a danneggiare la campagna del tycoon che non a favorirla.
Soro, allarme altissimo, in gioco democrazia
"L'allarme deve essere altissimo", secondo il Garante per la Privacy, Antonello Soro. "La dimensione degli utenti su Facebook - ha detto il Garante per la Privacy, Antonello Soro, parlando a Sky Tg24 del caso Cambridge Analytica - è così grande da condizionare gli sviluppi dell'umanità. Quando questo potenziale è usato per mandare a un numero elevato di utenti una serie di informazioni selettivamente orientate per poi condizionare i singoli comportamenti, questo passaggio cambia la natura delle democrazie nel mondo e l'allarme deve essere altissimo".
Codacons: 'Pronti a class action se violata privacy'
Se lo scandalo "Datagate" che sta investendo Facebook coinvolgerà anche gli utenti italiani, scatterà una class action promossa dal Codacons contro la società di Mark Zuckerberg. Lo afferma il Codacons dopo la richiesta di chiarimenti avanzata dall'Agcom circa l'impiego dei dati per finalità di comunicazione politica da parte di terzi. "Al pari delle associazioni dei consumatori americane, il Codacons sarà la prima organizzazione italiana a depositare una class action contro Facebook - spiega il presidente Carlo Rienzi - Se saranno accertate condotte illecite circa l'uso dei dati sensibili degli utenti, la loro profilazione a fini politici e l'avvio di campagne di comunicazione a carattere elettorale, chiameremo la società a rispondere dei danni prodotti ai cittadini italiani iscritti al social network". "Una class action che vedrà coinvolti oltre 30 milioni di italiani attivi su Facebook, e che sarà finalizzata a far ottenere agli utenti il giusto risarcimento dei danni morali subiti legati ad eventuali utilizzi illeciti di dati sensibili e alla violazione delle norme sulla privacy" - conclude Rienzi.
Ministero Gb lavorò con società nella bufera - Il ministero della Difesa britannico ha collaborato in almeno due "progetti" con la Scl, la società di consulenza da cui è nata la Cambridge Analytica, coinvolta ora nello scandalo Facebook. E fino al 2013 le garantì un posto nella cosiddetta Lista X, sorta di marchio di garanzia accordato ad aziende ammesse a lavorare col governo in settori sensibili e a conoscere informazioni riservate. Lo denuncia al Guardian la presidente laburista della commissione Interni dei Comuni, Yvette Cooper, invocando un'indagine.
May, accuse molto preoccupanti, s'indaghi
La premier conservatrice britannica Theresa May giudica "molto preoccupanti" i sospetti sull'abuso dei dati di milioni di utenti nei confronti di Facebook e della società britannica di consulenza politica Cambridge Analytica. Incalzata nel Question Time dal capogruppo indipendentista scozzese, Ian Blackford, May ha incoraggiato l'authority per la tutela dei dati personali a indagare come annunciato e ha ammonito Fb e Ca a collaborare. Mentre ha negato che il suo partito abbia "contratti in essere" di consulenza con Cambridge Analytica.
Il Pd chiede una commissione d'inchiesta su Cambridge Analytica - "Se vogliamo essere noi e non un inafferrabile Grande Fratello a decidere il nostro destino, dobbiamo sbrigarci a costruire un quadro regolatorio che protegga la democrazia, ma dobbiamo anche indagare a fondo su cosa è successo in questi anni. Per questo il mio primo atto da parlamentare sarà la proposta di legge per l'istituzione di una commissione d'inchiesta sul caso di Cambridge Analytica e sulle fake news, anche alla luce di quanto ha confermato l'Agcom, ovvero che nel 2012 quelle tecniche sono state utilizzate anche da un partito italiano". E' quanto annuncia il deputato del Partito democratico Michele Anzaldi in un intervento pubblicato su "Huffington Post". "L'enorme potere di Facebook - prosegue Anzaldi - e degli altri social network sta proprio in questo. Nella capacità di guidare i nostri comportamenti, facendoli aderire ai desideri dell'inserzionista. Questo potere ha spostato la pubblicità dalla tv e dai giornali per concentrarla nei social network (solo Facebook e Google controllano il 56,8% delle inserzione pubblicitarie). Ma un conto è se in ballo c'è la vendita di un prodotto. Un altro, è se l'elezione di un presidente o la permanenza di uno stato nell'Ue dipendono non dalla volontà dei cittadini ma da un algoritmo, magari creato con il supporto e i fondi di uno stato estero. La premessa di questi meccanismi è l'eccessiva libertà d'azione concessa ai social network, se non vere e proprie irregolarità e illeciti, nel trattare i nostri dati. Lo scandalo di Cambridge Analytica ha dimostrato che siamo di fronte a rischi democratici pericolosissimi. Quando si cita il Grande Fratello, la pervasiva e inafferrabile entità che spia le vite dei cittadini nel romanzo '1984' di Orwell, si pensa a qualcosa di lontano. A una fantasia che può esistere solo nella mente di uno scrittore o al cinema. Non c'è niente di più sbagliato. L'impressione è che il Grande Fratello sia tra noi, ma con un nome diverso: social network".