Una mano bionica che permette di orientarsi anche al buio
Una mano bionica sensibile e precisa nei movimenti, come un arto in carne e ossa: è la nuova frontiera della Biorobotica, rappresentata da protesi di nuova generazione impiantate nei nervi del paziente e in grado di ricevere informazioni sensoriali quando entrano in contatto con oggetti o li manipolano. È quanto emerge dal convegno «Mano bionica, dalle origini della ricerca alle sperimentazioni su soggetti amputati», in corso a Roma, presso l’Accademia dei Lincei.
IL PIONIERE, PAOLO DARIO
Era la fine degli anni ‘80 quando il pioniere della Biorobotica, Paolo Dario, docente di Robotica biomedica presso la Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, lanciò l’ambizioso progetto di creare una protesi di mano a controllo neurale, basata su elettrodi impiantati nei nervi periferici di persone con amputazioni al braccio.
«A quel tempo sembrava fantascienza, ma oggi la connessione di una mano bionica al sistema nervoso è una sfida che abbiamo vinto», afferma Dario. «Le nuove protesi bioniche consentono, infatti, non solo di riacquistare l’utilizzo della mano, ma soprattutto di percepire le sensazioni provenienti dall’ambiente esterno». L’obiettivo, ha concluso Dario, «è fare in modo che la persona con un’amputazione abbia la percezione di ciò che sta facendo. Proprio come se avesse una mano in carne e ossa».
COME UNA MANO NATURALE
Un nuovo progetto di mano bionica permette di orientarsi nello spazio anche al buio, evitando dipendenza dalla vista. Come una mano naturale, in grado di garantire il recupero delle sensazioni dopo l’amputazione. È quanto emerge dallo studio italiano, pubblicato sulla rivista Science Robotics. Il lavoro è frutto di dieci anni di ricerche condotte da due gruppi, coordinati da Silvestro Micera, della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa e del Politecnico Federale di Losanna, e da Paolo Maria Rossini, della fondazione Policlinico universitario Agostino Gemelli - Università Cattolica di Roma.
Dopo un periodo di addestramento i pazienti imparano a poco a poco a tradurre questi impulsi in sensazioni di natura tattile. Per Micera, «l’eccessiva dipendenza dalla vista, dovuta all’assenza di un segnale sensoriale, è un problema che ha contribuito finora alla difficoltà dei pazienti di sentire la mano bionica come parte integrante del proprio corpo, e quindi alla mancanza di naturalezza nell’usarla. Con la mano bionica invece - ha concluso - il cervello riesce a combinare le informazioni sensoriali in maniera efficace. Gli elettrodi funzionano per più mesi, aprendo la strada a un impianto di tipo cronico».