Premio «Salva la tua lingua locale» Unpli: Fabio Chiocchetti del Goti ed il futuro del ladino fassano
All’ex direttore dell’Istitut Cultural il riconoscimento nazionale. Il pericolo? «Il consumismo dilagante rischia di ridurre le tradizioni e le culture locali a mero folklore, ad uso e consumo dell’industria del turismo»
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TRENTO. C’è anche un ladino fassano tra i vincitori del premio nazionale Salva la tua lingua Locale 2024, indetto da Unpli e Ali Lazio. Si tratta di Fabio Chiocchetti (del Goti), direttore per 42 anni dell’Istitut cultural ladin, studioso conosciuto a livello nazionale per le sue attività di ricerca e valorizzazione nel campo della lingua e cultura ladina. L’Unione delle Pro Loco l’ha intervistato a margine della cerimonia di conferimento del premio, lo scorso dicembre in Campidoglio, per sentire il suo punto di vista su questo tema e capire perché è così importante parlare (e scrivere) nel nostro dialetto.
Perché è importante valorizzare le lingue locali?
A livello globale, valorizzare le lingue locali significa preservare la biodiversità culturale del pianeta, così come si cerca di garantire la sopravvivenza delle specie animali e vegetali. Oggi sono circa 7000 le lingue parlate sulla Terra, ogni anno ne spariscono una decina, il doppio rispetto a dieci anni fa. Quando una lingua muore, muore anche una precisa visione del mondo. Per questo nel 1999 l’Unesco ha istituito la “Giornata internazionale della lingua madre”, che si celebra ogni anno il 21 febbraio con l’obiettivo di sensibilizzare le comunità umane a salvaguardare le lingue a rischio di estinzione.
A livello locale, la lingua conserva e trasmette agli individui il senso di appartenenza ad una specifica comunità e la coscienza delle proprie radici: sapere “da dove veniamo” è importante non solo per sapere “chi siamo”, ma anche per capire dove stiamo andando, per orientarci nel mondo.
Come si può contribuire a tenerle vive? E’ solo compito delle istituzioni o anche le associazioni come le Pro Loco, o i cittadini stessi, possono secondo lei contribuire?
Si dice che una lingua vive finché lo vuole il popolo che la parla. In primo luogo dunque è un compito che spetta alle persone che si riconoscono appartenenti ad una stessa comunità linguistica, quindi alle forme associative che si fanno carico di questo obiettivo, le quali però a loro volta devono essere sostenute dalle istituzioni locali, regionali e nazionali. Questo anche secondo le indicazioni degli organismi e delle istituzioni sovranazionali, come ad esempio l’ONU e la stessa Comunità Europea, la quale è più volte intervenuta sul tema con atti ufficiali, nonostante le resistenze di certi Stati nazionali.
Allargando il discorso ai patrimoni immateriali (non solo lingue ma anche tradizioni, patrimoni musicali eccetera), quale è il loro ruolo secondo lei oggi?
Anche le tradizioni nascono, si trasformano e muoiono secondo i “bisogni” di una determinata comunità, secondo la funzione sociale che esse svolgono all’interno di essa. Ciascuna è “indipendente”, benché spesso intimamente connessa con la lingua locale, la quale tuttavia ne riflette i contenuti in connessione con l’insieme di una determinata formazione sociale. In altre parole la lingua ha una funzione peculiare, per così dire “sovraordinata”, in quanto contenitore e veicolo di trasmissione di una pluralità di elementi culturali caratteristici di una comunità.
Quando alla fine dell’Ottocento Amadio Calligari, scrivano e contadino fassano, si rende conto che l’usanza delle “veglie serali”, luogo privilegiato della trasmissione della cultura orale, stava perdendo l’antica vitalità a causa delle trasformazioni sociali in atto, si accinge a documentare lingua e tradizioni mediante la scrittura, prima che tutto vada perduto. Il ciclo di lettere fortunosamente giunte fino a noi, documenta (seppur in maniera frammentaria) uno straordinario patrimonio di tradizioni non più vitali, che oggi tuttavia possiamo conoscere e studiare quasi in presa diretta, non per la mediazione di una lingua “altra”, ma attraverso lo stesso mezzo linguistico che ne ha accompagnata la vita.
E’ da poco stato insignito a Roma del premio “Salva la tua lingua locale”, - sezione Premio “Tullio De Mauro” con il suo ultimo libro, “Letres da Larcioné. Lingua e tradizioni dei tempi antichi”. Cosa significa per lei questo premio?
È un riconoscimento importante per uno studio che può contribuire concretamente a “salvare” dall’oblio un pezzo della nostra storia, ciò che costituisce quello che oggi noi siamo. Tullio De Mauro ha operato per una vita intera per la diffusione della lingua italiana, ma anche per la valorizzazione delle lingue minoritarie e delle parlate locali. Non c’è contraddizione in questo: è la sfida del plurilinguismo in una società complessa come la nostra. Nel corso della cerimonia di premiazione, infatti, si è sottolineato più volte il fatto che oggi non è più sufficiente “parlare” gli idiomi locali, ma è altrettanto necessario far sì che questi vengano scritti: è il solo modo per documentare le lingue in difficoltà e assicurare in futuro quanto meno la possibilità che esse vengano conosciute, studiate e forse anche rivitalizzate. È quanto si proponeva di fare Amadio Calligari più di cent’anni fa ed è quello che dobbiamo fare oggi. Credo sia questa la ragione per cui a “Letres da Larcioné” è stato assegnato il primo premio (ex aequo) per la saggistica (si può acquistare presso l’Union di Ladins de Fascia e l’Istituto Culturale Ladino di San Giovanni ndr.), un riconoscimento che mi piace condividere idealmente con Amadio Calligari da Larcioné, il vero protagonista del libro.
Lei ha un’esperienza pluridecennale in tema culture locali, cosa nota a livello di società? è cambiata la sensibilità su questi temi? come vede il futuro?
C’è stato un periodo in cui abbiamo assistito a un generale risveglio di attenzione rispetto a temi delle culture locali, nel quadro di un più vasto movimento di rivendicazione dei diritti civili e di lotta contro una società chiusa e autoritaria; e questo grazie soprattutto al dinamismo delle stesse comunità di lingua minoritaria, protagoniste negli ultimi decenni del secolo scorso di un’azione importante quantomeno a livello europeo. Oggi mi pare che questo movimento abbia in gran parte perduto la sua spinta propulsiva, quella in grado di proporre alla società umana una prospettiva di crescita collettiva, ovvero una consapevolezza condivisa rispetto ai valori della diversità culturale.
Da un lato sono poche le comunità di lingua minoritaria in grado di affrontare le sfide della “nuova globalizzazione”, usando le risorse delle tecnologie avanzate (pensiamo all’intelligenza artificiale), dall’altro a mio modo di vedere il consumismo dilagante rischia di ridurre le tradizioni e le culture locali a mero folklore, ad uso e consumo dell’industria del turismo.