La sfida biologica di Pietro Azzali
«Credo sia arrivato il momento di andare incontro a un modello più sostenibile, più rispettoso della vita degli animali e in fondo più rispettoso della nostra salute».
Questo teorizza Pietro Azzali, 39 anni, storese, che ha messo in piedi un allevamento di polli.
Ce n’è tanti, si obietterà. Eh no!, questo è biologico, di galline ovaiole, che producono uova da consumo.
«Con queste caratteristiche, che a me risulti, è il più grande in Trentino», si inorgoglisce il fondatore.
E qui sta la salute degli animali e dell’animale uomo. Azienda individuale quella di Azzali, che si potrebbe definire figlio d’arte, visto che papà e mamma cominciarono ad allevare pollame circa cinquant’anni fa.
Ad un certo punto Pietro ha deciso di mettersi in proprio e di scommettere su una strada innovativa. Ha riaperto il capannone dismesso in via Regensburger (la strada, per capirci, che si imbocca a Storo per andare verso Baitoni) e lo ha ristrutturato per seguire i parametri dell’allevamento biologico. In ottobre ha aperto la Partita iva e a gennaio ha accasato le galline. Sta entrando ora in produzione.
Viene in mente la famosa pubblicità televisiva con le galline allevate a terra. Sarà vera? «Nel mio caso sì - risponde Pietro -. L’allevamento biologico deve rispondere a precisi requisiti. Per esempio, le galline hanno accesso ai pascoli per almeno otto mesi all’anno». Pascoli... Un momento. Che facciamo? La transumanza? «No, no! Il capannone ha sui lati degli uscioli dai quali le galline possono accedere al paddock, che (per capirci) prevede una superficie di oltre quattro metri quadrati di pascolo per gallina. Inoltre il mangime deve essere biologico, proveniente da colture non ogm, prive di trattamenti. È una filiera che permette di confezionare un prodotto naturale. Per farlo, ovviamente, l’azienda deve essere certificata».
Quindi siamo lontani dagli allevamenti convenzionali. «Molto lontani», chiosa Azzali, che ricorda di essere attaccato all’acquedotto, «per cui le galline bevono l’acqua che beviamo noi. Sa com’è? Se la gallina si alimenta in maniera sana darà un prodotto di eccellenza».
Tutto bello, ma non dev’essere semplice. «No, perché oltre a seguire l’allevamento devo occuparmi del marketing e degli aspetti burocratici, che nel caso del biologico sono tali e tanti...».
Marketing, parola impegnativa. D’altronde, con 1.150 galline che faranno uova bisogna trovare il mercato. Che sarà mercato all’ingrosso, ma (se qualcuno fosse interessato) anche al dettaglio.