Covid, un'epidemia di poveri raddoppiano il Val di Cembra le famiglie che chiedono aiuto
La crisi morde. Morde quella economica, morde quella del Covid. Le due crisi si sommano. A farne le spese, come sempre, sono i più deboli. L’isolamento imposto in primavera dal governo per contenere il contagio ed evitare di mandare in tilt i reparti di rianimazione, arrivati all’estremo, ha spinto tante famiglie verso il dirupo. Succede nella ricca Val di Cembra dove, evidentemente, non sono tutti così ricchi come ci piace raccontare.
Ne sanno qualcosa alla Caritas dove i volontari ogni 15 giorni consegnano i pacchi viveri alle famiglie bisognose. «E non si tratta solo di emigrati che lavoravano nelle cave di porfido - spiega la responsabile locale Aneska Saliva - e non si tratta solo di famiglie numerose. Spesso a chiedere aiuto sono italiani: nuclei familiari di due o tre persone». L’«effetto Coronavirus» si è fatto sentire in maniera concreta.
I dati della Caritas parlano: «Nel giro di poche settimane i nuclei familiari che hanno chiesto aiuto perché non si arriva alla fine del mese sono passati da 15 a 37. Italiani per la metà».
Una difficoltà diffusa, si diceva, che va oltre la ?pietra trentina? perché è tutto l’impianto economico che sta registrando un rallentamento profondo e che, nell’operosa Val di Cembra, risalta più che in altre aree. «Ci sono esercizi commerciali che, dopo l’arrivo del Coronavirus, sono stati costretti a chiudere. È un mondo vario.
Il rallentamento del lavoro nelle cave c’entra, ma fino ad un certo punto» racconta la responsabile Caritas. «Il settore del porfido - ci spiega un esperto - è in crisi da almeno 15 anni negli ultimi mesi il virus planetario ha accentuato le difficoltà soprattutto per le imprese che vendevano principalmente sul mercato italiano: chi vende almeno metà dei suoi prodotti all’estero è un po’ al riparo ma la situazione all’estero, soprattutto in Europa, è abbastanza ferma». La strozzatura economica di cui stiamo parlando non riguarda le famiglie di chi fa impresa, ma semmai quelle degli operai che navigano a vista e che, in alcuni casi, dalla sera alla mattina non hanno visto più entrare neanche un euro in casa». Parliamo di persone che non riescono a raccattare un soldo, neanche più in nero. Se ne sono accorti nei punti vendita di alimentari del territorio: la borsa della spesa di molte persone è meno gonfia.
Il numero di famiglie che chiedono aiuto (anche in termini di ricerca di un impiego alternativo) alla Caritas è più che raddoppiato, ma è probabile la realtà sia ancora più grave perché tanti provano vergogna a rivolgersi a strutture pensate per i poveri.
Ce lo conferma il direttore della Caritas diocesana Alessandro Martinelli, che abbiamo raggiunto al telefono: «La situazione del territorio cembrano non è tanto diversa dalla realtà del resto del Trentino. Stanno venendo al pettine tutti i nodi di una società debole dal punto di vista della relazione, della comprensione, del sapere che cosa è oggi essenziale e necessario. Le fragilità, le debolezze familiari, le ingiustizie anche nel mondo del lavoro erano ben presenti anche prima della pandemia. Forse erano celate da un apparente benessere, talvolta temporaneo, quasi superficiale, così come da una sorta di ritrosia nel chiedere. Rivolgersi a uno sportello talora evidenzia già un primo grande fallimento, insieme a un senso di solitudine».
Il virus ha fatto emergere un’assenza di benessere che prima veniva in qualche modo cammuffato. «Di fronte al mutuo, alle rate dell’affitto ma anche del televisore o delle ferie (una vita ?normale? che si vuole legittimamente garantire ai figli, a fronte di tutto ciò che la società chiede), l’interruzione dello stipendio crea il panico, un disorientamento che arriva ad essere devastante».
E la Caritas fa il possibile. «Manca la giustizia e oggi c’è il rischio che la solidarietà, come quella della Caritas ma anche come quella di tanti enti e associazioni, si sostituisca alla giustizia. La buona volontà di tante persone non può diventare la risposta al dramma, destinato ad estendersi». Martinelli auspica che scuole, parrocchie, enti sociali, mezzi di informazione, si impegnino per costruire relazioni, ascolto, ma anche educazione alla vita quotidiana». E la Chiesa? «C’è un ruolo nuovo della Chiesa. Ci è chiesto di stare dentro, di condividere, di sostenere, di alzare la voce quando serve e quando le voci singole non ce la fanno. Lo streaming dei primi mesi non attrae più. Ci è chiesto di esserci in presenza. La presenza diventa necessaria». Secondo il direttore della Caritas «serve la politica, occorre pensiero e strategia»
«È urgente un serio piano sociale che parta dalla lettura della realtà. Servono percorsi di inclusione e non di esclusione, a lungo termine, per prevenire le nuove eventuali crisi. Serve giustizia non elemosina. È una nuova storia che dobbiamo riscrivere insieme».