La birra è il nuovo antidoto alla crisi
«Cerevisia malorum divina medicina» (la birra rimedio divino contro tutti i mali). Così sosteneva Paracelso nel Sedicesimo secolo. Vero o non vero, quello che conta è che la bevanda ambrata per antonomasia si sta rivelando un antidoto contro la crisi economica. E non parliamo delle grandi multinazionali che commerciano birra in tutto il mondo ma delle microbirrerie, o birrifici artigianali, che stanno spuntando come funghi
«Cerevisia malorum divina medicina» (la birra rimedio divino contro tutti i mali). Così sosteneva Paracelso nel Sedicesimo secolo. Vero o non vero, quello che conta è che la bevanda ambrata per antonomasia si sta rivelando un antidoto contro la crisi economica. E non parliamo delle grandi multinazionali che commerciano birra in tutto il mondo ma delle microbirrerie, o birrifici artigianali, che stanno spuntando come funghi in posti dove, nei registri contabili dei consumatori planetari, non sono nemmeno indicate. In Italia, da una ventina d’anni, si sono riprodotti 600 produttori. In Trentino siamo a 9 con il decimo in arrivo (escluso il Pedavena di Trento che, pur offrendo la Lag’s Bier fatta in casa non è presente sul mercato perché, di fatto, non interessa visto che il nettare lo vende direttamente nel proprio locale) entro l’estate.
Ogni valle, di fatto, ha un suo piccolo stabilimento e, quel che più conta, è che ad avviarlo sono giovani, ragazzi ma non per questo sprovveduti visto che, prima di intraprendere la professione, si sono opportunamente formati.
La birra, insomma, senza volerlo sta cercando di fare concorrenza al vino, vera bevanda autoctona e sostenitrice del Pil.
Largo ai giovani, dunque, e ad una bevanda millenaria cara soprattutto al Nord Europa. Ma che in Trentino sta facendo breccia e che potrebbe determinare un cambio di rotta in agricoltura. In futuro, infatti, si punterà su orzo e luppolo rigorosamente a chilometri zero per proporre la vera birra di montagna.
Il prolificare di aziende artigianali in questo settore, comunque, ha già ottenuto la sua prima fiera dedicata. Da venerdì a domenica, al Palanaunia di Fondo, sarà infatti allestito il primo «Festival della birra artigianale» che ospiterà le nove aziende provinciali e che sarà protetto dal prestigioso mantello di «Slow Food». L’antica (risale addirittura al 7000 avanti Cristo) birra si vuole quindi lanciare come prodotto doc anche all’ombra delle Dolomiti.
«In Italia il fenomeno della birra artigianale è rinato quasi per caso un ventennio fa - ricorda l’assessore al turismo di Fondo Daniele Graziadei - e ha visto emergere alcuni pionieri che hanno iniziato a produrre una birra diversa da quella industriale, hanno voluto riscoprire i metodi tradizionali, la cura e la scelta nelle materie prime, l’attenzione nei processi produttivi per esaltare le caratteristiche organolettiche».
L’idea di un festival è venuta alla Pro loco. «Volevamo valorizzare questo prodotto ed offrire una vetrina degna di tal nome. È anche un modo per mettere in relazione i mastri birrai con i ristoratori e creare un circolo economico virtuoso. - butta lì il presidente Francesco Pichenstein - In questo clima di globalizzazione ci si è resi conto di come sia necessario il ripensamento delle tradizioni e della cultura e infatti nel giro di pochi anni si è venuto a creare un notevole interesse nei confronti di tutto ciò che rispecchi le nostre origini. Tra questi certamente il mondo della birra ha trovato un importante riscontro».
«Cerevisia», comunque, non è solo il festival delle birre artigianali ma anche un veicolo di promozione del territorio. Di questo è certo <+nero>Andrea Paternoster<+testo> dell’Apt. «La birra racchiude una nuova identità unica e irripetibile, frutto della passione e della tradizione. Anche la nostra terra non è rimasta a guardare, ma man mano negli anni anche qui sono nati e cresciuti diversi birrifici. Ed è il momento giusto per raggrupparli assieme, per conoscerli e degustare le loro eccellenze».
La birra, insomma, ha le carte in regola per diventare il nuovo «brand» trentino. E in Anaunia si sta già pensando di trasformare alcune coltivazioni in orzo e luppolo, per rendere davvero autoctona e totalmente di montagna la bevanda artigianale.