Don Emilio, trentadue anni fra gli ultimi delle favelas

La bella storia del sacerdote di Tregiovo

di Guido Smadelli

Per trentadue anni ha svolto il proprio compito tra gli ultimi, nelle favelas di San Paolo, in Brasile, con ricordi fantastici, tanto che ogni anno e mezzo torna a trovare le «sue» comunità, e meno piacevoli, ad esempio quando nel 1980 qualcuno ha sparato contro la canonica, e la pallottola era passata a pochi centimetri dalla sua testa. 

Ora don Emilio Paternoster ha 81 anni, ed opera a Brez, dove è stato parroco, come collaboratore. La sua lunga storia di missione l'ha voluta narrare in un libro, un volumetto di 180 pagine steso con la collaborazione di molti, in particolare gli insegnanti Anselmo Bonini che ha curato le correzioni e Vincenzina Forgione che ha invece curato la sistemazione dei vari capitoli. Nato a Tregiovo, frazione di Revò, nell'agosto del 1934, don Emilio Paternoster è stato ordinato sacerdote ad inizio aprile 1960; dopo essere stato cooperatore parrocchiale a Vigo di Fassa, Lavis, Montagnaga e Mezzocorona sceglie la via della missione: parte per il Brasile il 13 giugno del 1968, ed in terra carioca ha operato fino al 2000, quando gli è stato detto di restare in Trentino. Anche se lui un paio di annetti tra le sue comunità li avrebbe trascorsi volentieri; invece gli è stato affidato il compito di parroco, a Fornace (con Lona e Lases) ed infine a Brez (con Castelfondo e Dovena). 

Il libro è scritto con semplicità ed un pizzico di ironia. Ad esempio quando scrive: «Sono tornato dal Brasile col titolo di monsignore e ringrazio in cardinale Paulo Evaristo Arns e il vescovo Emilio Pignoli che lo hanno chiesto per me al Vaticano, anche se non so a cosa serva». A parte questo interrogativo, i logici ringraziamenti a molti che lo hanno aiutato, sia in Sud America che dal Trentino, la narrazione è dei fatti avvenuti: in una terra originariamente poco sicura anche per i preti, per la Dops (la polizia segreta) da un lato, per gli squadroni della morte dall'altro. Don Emilio è più volte intervenuto a favore di ragazzi arrestati senza grandi motivi, e persino di altri missionari portati nelle camere di tortura della polizia segreta; inizialmente senza grande aiuto da parte della gerarchia ecclesiastica locale. Il cardinale Agnelo Rossi, ad esempio, diceva degli arresti di preti che «Se la polizia li prende è perché sono mezzo comunisti». Sono seguiti altri vertici, ad iniziare dal cardinale Evaristo Arns, che don Emilio paragona «ad un Sant'Ambrogio di Milano al tempo dell'Imperatore Teodosio (?) da subito ha testimoniato a favore del rispetto dei diritti umani, contro ogni forma di tortura e in difesa dei suoi sacerdoti». 

Oltre agli spari, alla convocazione nella sede della Doi-Codi dove il colonnello Turribia interrogava sotto tortura (don Emilio ammette di aver avuto paura: entrato nell'edificio gli furono ritirati i documenti, e gli fu detto «da qui in avanti non sei più nessuno, forse ti daranno un numero»), alla lotta condotta contro Cabo Bruno, che guidava impunemente uno «squadrone della morte», responsabile della «scomparsa» di decine di persone, don Emilio narra le cose positive: la nascita di una comunità credente e molto dignitosa anche nella miseria delle favelas, la costruzione di chiese, luoghi di ritrovo, scuole materne (una nel rione Paranapanema, per 189 bimbi), e la collaborazione con gli altri missionari, tra i quali don Luigi Giuliani di Romeno. 

Domani, domenica 28 febbraio, alle 17, don Emilio presenta il suo lavoro alla comunità di Brez, nella sala comunale San Giovanni, dove narrerà direttamente le sue esperienze di missionario e di uomo di fede.

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