«Turni senza respiro: il mio inferno al centro commerciale» Lavoro allo Shop Center, il racconto di un ex commesso

«Ho lavorato per un anno e mezzo allo Shop Center Valsugana. È stato un vero inferno! Non ho mai avuto una domenica libera, non mi sono state pagate quasi 215 ore. E sono tante... Tutte ore che ho lavorato... Stremato ho deciso di licenziarmi. Prima di andarmene mi hanno fatto firmare una lettera, dove c’era scritto che il mio licenziamento non era causato da mobbing».

È il racconto di un ex dipendente del centro commerciale di Pergine. Lo sfogo arriva via web dopo il «La» dato da una commessa di un negozio dello Shop Center, che ha scritto al sindaco Roberto Oss Emer denunciando una situazione lavorativa esasperante, caratterizzata da un’elevata precarietà e da turni di sette giorni su sette.

Una ferita aperta, quella dei tempi di lavoro nel settore commercio: da una parte le imprese che parlano di crisi e della necessità di fare cassa anche nei giorni festivi, dall’altra i dipendenti che chiedono respiro per dare tempo alla famiglia e alla vita.

I sindacati, su questo fronte, si sono mossi più volte, ma con zero risultati. E su internet (basta dare un’occhiata i commenti sul nostro sito e sulla nostra pagina Facebook) si scatenano quelli che il lavoro non ce l’hanno. Un dibattito che assomiglia sempre di più ad una «guerra tra poveri».

Ma torniamo al nostro ex commesso del centro commerciale: «Ho lavorato per un annno presso un negozio - ci scrive - e ovviamente mi sembra brutto fare il nome. Non ho mai avuto una domenica libera, il weekend, c’erano giornate che mi facevo 11 ore al giorno, con mezz’ora di pausa, ovviamente le ore pagate erano 7.

Avevo un giorno libero all settimana e il lunedì mattina. Durante la settimana recuperavo la mezza giornata di riposo che avevo, perché facevo sempre na mezz’ora in più tutti i giorni.

Non mi è mai stato pagato uno straordinario. In più i miei capi avevano un altra zona e più di una volta mi hanno mandato lì, senza rimborso e niente. E lì mi facevo due settimane ogni due mesi».

«Dovrebbero chiuderlo quel posto - si sfoga - perché la gente smette di vivere là dentro. Non riesci più ad avere una vita sociale. Questa è più o meno la mia storia... Poi, quando mi sono licenziato, mi hanno fatto firmare quella carta, in cui dicevo che mi dimettevo senza avere subito né minacce né mobbing».

 

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