Il figlio è dislessico, ma non per la scuola. Lo sfogo di una mamma che chiede collaborazione
Dislessia e scuola, famiglia ed insegnanti, binomi che non sempre trovano un punto d’incontro, un equilibrio che vada in appoggio ai bisogni effettivi degli studenti più svantaggiati.
Come è successo negli ultimi tempi ad una mamma dell’Alto Garda che, stanca di subire e far subire al proprio figlio - dislessico certificato - delle umiliazioni, ha deciso di portare alla luce il suo problema "affinché anche altri genitori che si trovano nella mia stessa situazione rompano il muro del silenzio e si facciano avanti senza timore".
"Ho un figlio di 16 anni che frequenta una scuola superiore della zona - racconta la signora, che nel frattempo ha provveduto ad inviare una segnalazione anche ai vertici provinciali - e fin dal momento dell’iscrizione ho presentato la certificazione relativa alla sua dislessia, redatta da una neuropsichiatra ancora durante gli anni della scuola media. Un documento che attesta il disturbo nell’apprendimento e riporta quanto la scuola dovrebbe fare per permettere a mio figlio di raggiungere lo stesso livello dei compagni.
Un anno fa, ossia al termine del primo anno scolastico, non mi sono arrabbiata di fronte alla sua bocciatura ma, visti i precedenti, quest’anno ho voluto seguirlo personalmente nello studio a casa, affiancandolo nella preparazione delle verifiche e nel normale svolgimento dei compiti. Nel contempo mi sono fatta avanti con gli insegnanti, facendo notare più volte che si trattava di uno studente dislessico certificato. Secondo alcuni di loro però il ragazzo non presentava i sintomi specifici del disturbo. Sono rimasta zitta perché non volevo mettere in dubbio il giudizio di persone esperte in materia scolastica e per le quali le difficoltà di mio figlio erano dovute alla mancata applicazione nello studio, anziché per quello che in realtà erano. Vedendo l’impegno a casa e i risultati ottenuti ho deciso di rivolgermi alla preside. Ne è nato un promettente confronto.
All’inizio sembrava che tutto procedesse al meglio, ma quando ho fatto notare che a mio figlio non venivano messi a disposizione gli strumenti richiesti dal “Pep” (piano educativo personalizzato nel quale sono riportate, per ogni materia, le misure da attuare, ndr.) e che continuando in questo modo lui non avrebbe mai potuto ottenere una giusta gratificazione per il lavoro svolto, le cose sono cambiate.
Mi si è parato di fronte un muro: chiedevo una seria collaborazione ma mi sono trovata a lottare contro persone che a mio parere ritenevano gravoso preparare ciò che era descritto nelle dispense. La cosa che ha fatto più male è stata però l’arroganza con cui nelle settimane scorse, a fine anno scolastico, mi sono state comunicate le lacune di mio figlio: in quell’occasione - conclude la signora - mi è addirittura arrivato l’invito a cambiare scuola e ad attivarmi per ottenere un “Pei” (piano educativo individualizzato per studenti down), perché - secondo preside, insegnanti ed esperti - tutto “è stato fatto in modo regolare”. Nel caso mio figlio decidesse di rimanere in questa scuola, a settembre e al momento del recupero delle materie in debito, verrebbe tuttavia “trattato con un occhio di riguardo”. Se questa è la collaborazione tra scuola e famiglia, io non ci sto".