Fedrigoni, dal record agli esuberi Il gruppo perde lavori con Bce e India
Sembra un paradosso: dal record, alle crepe. Che non è chiaro quanto profonde siano, ma certo ci sono. E vanno gestite. Si può riassumere così ciò che è emerso dall'incontro tra i dirigenti del Gruppo Fedrigoni e i sindacati.
L'appuntamento di giovedì era stato convocato per illustrare i dati del bilancio 2016. Da una parte del tavolo la proprietà, dall'altra le delegazioni sindacali (compresi i segretari nazionali) e le Rsu degli stabilimenti di Trentino, Veneto, Lombardia, Marche e Umbria. Per l'alto Garda, Alan Tancredi (Uil), Claudia Loro (Cgil) e Lorenzo Pomini (Cisl).
Quanto al bilancio, i sindacati sapevano che avrebbero ricevuto solo notizie positive. Il 2016 è stato quasi da record, con il fatturato che ha superato il miliardo, l'utile a 63 milioni. Insomma, uno degli esercizi finanziari più floridi di sempre, in un gruppo per altro solido.
E fin qui siamo al record. Solo che subito dopo arrivano le crepe. Quanto grandi, non è chiaro.
L'azienda ha annunciato un calo di commesse su due fronti, arrivato in entrambi i casi pochissimi giorni fa e non ancora metabolizzato, dal punto di vista dell'entità del problema. La prima è la Bce, che per la cartamoneta non si servirà più dell'Italia, perché ha annunciato di volerla acquistare almeno per metà in Francia.
Bene per chi produce carta Oltralpe, male per Fedrigoni. E poi c'è un altro big che ha deciso di cambiare rotta. Ed è uno di quelli che garantiva numeri importanti: l'India, che ha recentemente preso la decisione di non voler più acquistare la carta per le banconote all'estero, ma vuole fabbricarsela in casa. Più che legittimo, ovvio. Ma ora si tratta di capire le ricadute per le aziende del gruppo Fadrigoni: per ora due linee di produzione ferme negli altri stabilimenti del gruppo e una terza che potrebbe fermarsi a breve. In tutto coinvolti, per ora, 150 dipendenti.
Su quanto l'azienda ha annunciato le bocche, da parte sindacale, sono cucite. Sembra comunque che dall'incontro sia emersa una situazione ancora fluida. Le due notizie sono fresche: l'azienda non ha ancora valutato quanto e come la produzione verrà penalizzata, quindi non ha ovviamente chiarito quali saranno le conseguenze. Ma si è annunciata una valutazione complessiva degli organici. Insomma, esuberi. Ma numeri non ne sono usciti, e d'altronde è davvero presto: serve capire come questo calo di commesse impatterà sulla gestione aziendale. Nemmeno dal punto di vista della tempistica, ci sarebbero dati certi. Ma sembra probabile che il problema abbia ricadute sul 2018, e non sull'ultima coda del 2017.
Il calo commesse, ovviamente, impatta sull'intero gruppo. Il fatto che né la carta per l'Euro né quella per le banconote indiane venga prodotta in Trentino non dovrebbe portare a ricadute immediate in Busa. Ma certo le guerre tra poveri non piacciono a nessuno, quindi i sindacati si stanno mobilitando per fare fronte comune. «L'azienda ci ha annunciato questo calo di commesse, per problemi che non riguardano la gestione aziendale, ma scelte di soggetti esterni - spiega Tancredi (Uil) - Ora sarà compito delle rappresentanze sindacali capire assieme all'azienda, quando sarà perimetrato il problema con certezza, quali siano le soluzioni più idonee». Un minimo di preoccupazione c'è, ma la storia del gruppo Fedrigoni induce all'ottimismo: «L'azienda ci ha presentato un buon bilancio, è il bilancio di un'azienda sana - conclude Tancredi - per questo lo spirito è positivo».
Serve mobilitare il governo centrale, invece, secondo Pomini (Cisl). Per via di quella commessa volata verso la Francia: «Oggi sono stati dichiarati esuberi, i numeri non sono belli. Ci mobiliteremo tutti insieme. E serve mobilitare il governo, perché forse c'è margine per un'azione politica che salvi almeno una delle due commesse perse».