Biker morto sopra Pregasina «Quel sentiero doveva avere i cartelli di divieto alle bici»
Difficile che un cartello ti salvi la vita. Ma almeno può «aiutare». Un cartello chiaro di divieto di percorrenza su quei sentieri escursionistici targati Sat e per giunta improponibili da percorrere in mountain bike. Come quello che da Punta Larici scende verso Pregasina affacciandosi sul lago, dove sabato pomeriggio ha trovato la morte un biker bresciano di 50 anni, Paolo Lancini, di Gardone Valtrompia, che assieme a un amico (lui incolume) aveva deciso di provare l’ebbrezza di quel tracciato, in alcuni brevi tratti attrezzato con un cordino metallico dai volontari della Sat proprio in virtù della sua pericolosità.
Quei cartelli che dovrebbero regolamentare i sentieri possibili e quelli dove vige il divieto per le due ruote grasse sarebbero dovuti essere posizionati da tempo ma non è stato fatto. La denuncia arriva dalle sezioni della Sat di Arco, Riva del Garda e Ledro ed è contenuta nel documento di sintesi inserito nella relazione sugli «Stati generali della montagna», voluti dalla giunta provinciale a trazione Lega. La constatazione che qualcosa non ha funzionato nella macchina degli interventi previsti e condivisi a tavolino parte dalla delibera di fine 2015 e dalla successiva determina provinciale di marzo 2016 con la quale veniva ha approvato l’elenco dei percorsi in condivisione tra mountain bike ed escursionisti (e il percorso teatro dell’incidente di sabato non c’era e non c’é) «sui quali devono essere esposti i segnali di divieto di circolazione per le mountain bike».
«Dopo tre anni, l’implementazione di quanto sopra è stata solo parziale e non soddisfacente dal nostro punto di vista - scrivono i responsabili delle sezioni Sat di Arco, Riva del Garda e Ledro - La segnaletica per le mountain bike è stata subito posizionata e se n’é incaricata l’azienda di promozione turistica Garda Trentino spa. Ma la segnaletica di divieto è stata posizionata solo parzialmente e discrezionalmente, alcuni segnali di divieto sono stati posati solo dopo pressanti sollecitazioni e spesso in modo precario e la segnaletica di divieto posizionata è stata spesso rimossa da qualche utente infastidito e nonostante le segnalazioni non è stata più riposizionata o lo è stata solo parzialmente». «Tra l’altro - prosegue il documento ormai pubblico - la segnaletica di divieto non viene fatta rispettare e i biker scendono tranquillamente sui percorsi vietati, nonostante l’impegno politico preso al tavolo di coordinamento di provvedere seriamente a fare rispettare i divieti».
Nel documento di sintesi sottoscritto dalle tre sezioni della Sat si afferma inoltre che «il progetto della Mountain Bike, quindi quello del Bike Park Alto Garda e della rete dei sentieri in condivisione, è basato sulla grande illusione che il territorio e le sue risorse siano inesauribili. Con il Bike Park si è incentivata una pratica marginale e costosa, cosa che sanno perfettamente gli appassionati di tali discipline, solo da noi il territorio è ceduto a costo zero. Con la rete di percorsi condivisa si è facilitata la percorrenza da parte dei discesisti puri di tutta una serie di percorsi non idonei. E con i Bike Shuttle, logica conseguenza di una promozione consumistica e veloce del nostro territorio, si è alimentato a dismisura un fenomeno di consumo intensivo dei nostri percorsi».