Va alla mensa dei poveri ma deve versare gli alimenti Padre insolvente condannato: la priorità va alla figlia
Si era presentato in aula pensando di avere le carte in regola. Lettera di licenziamento e certificazione Isee (l'equivalente fuori dal Trentino dell'Icef) pari a 0. Di più, ha presentato i buoni pasto all'«Ecclesia», l'equivalente della Caritas nella regione in cui vive ora. Voleva provare di essere nell'impossibilità di versare gli alimenti all'ex moglie e alla figlia minorenne. Ma non è bastato: è stato condannato a due mesi di reclusione.
La vicenda risale a qualche tempo fa. L'uomo viveva in zona assieme alla moglie e alla figlia minorenne. Cinque anni fa, la separazione. E accanto ai problemi emotivi che una separazione porta inevitabilmente con sé, come in ogni relazione che scoppia i due protagonisti si sono trovati davanti alla necessità molto pratica di regolare i propri rapporti economici.
Anche perché c'era di mezzo una bambina, a cui andava garantita la tranquillità economica. Da qui il primo provvedimento del presidente del tribunale, nel 2010, poi omologato un paio di anni più tardi con la sentenza di separazione: l'uomo avrebbe dovuto versare ogni mese 100 euro alla donna e 200 alla piccola.
Ma così non è andata. L'uomo non ha versato quanto dovuto al punto che la donna, per tirare avanti, si è rivolta al Comune di Rovereto. Perché la legge tutela i minori che, in simili situazioni, rischiano di essere le vere vittime. Quindi l'ente pubblico, se c'è una sentenza, nonché la prova che quella sentenza viene disattesa dal coniuge inadempiente, anticipa le somme dovute.
Ma per legge è poi obbligato a segnalare i fatti in procura. Perché un dettaglio su cui pochi coniugi inadempienti riflettono è che non pagare gli alimenti ai figli significa ovviamente mettere loro in difficoltà serie. Ma significa anche non rispettare una sentenza emessa da un tribunale italiano.
Il che, di per sé, è grave: la condanna è pressoché scontata. Perché se non si è più in grado di pagare il mantenimento per i figli, bisogna chiedere di rivedere la precedente sentenza. Non si può, semplicemente, smettere di mandare i bonifici.
A meno che non si sia nell'impossibilità assoluta di far fronte ai propri obblighi. Ma dev'essere chiara una cosa: il concetto importante è nell'aggettivo «assoluta». Non basta essere poveri. Se si hanno pochi soldi, il sistema pretende che si girino ai figli, che hanno il diritto di avere la precedenza su ogni cosa.
Per intendersi: se si perde il lavoro ma si possiede una casa, si venda quella, prima di immaginare di lasciare senza cena un bambino solo perché non si vive più con lui. Bisogna proprio, appunto, avere un'«impossibilità assoluta».
Ecco, secondo il protagonista di questa vicenda, lui ce l'aveva: licenziato, con Isee pari a 0, accolto al servizio di distribuzione pasti per gli indigenti di «Ecclesia». In aula ha portato le carte che lo dimostravano.
Ma, come detto, non è bastato. La condanna è arrivata comunque e senza condizionale, per il mancato mantenimento alla figlia. L'assoluzione è arrivata invece rispetto ai soldi alla moglie perché, sempre secondo il giudice, «difetta la prova che con tale omissione l'imputato abbia fatto venir meno i mezzi di sussistenza (che si limitano a quelli minimi necessri per la soddisfazione delle elementari esigenze di vita) al coniuge beneficiario».