Farmaci, truffa sulle ricette: 12 indagati Nei guai medici e farmacisti: giro da 300mila euro
Erano tutti d’accordo: i medici che firmavano le ricette e i farmacisti che, anziché consegnare le medicine ai pazienti le buttavano nel cassonetto (o rivendevano a terzi), salvo poi chiedere il rimborso al sistema nazionale. Un oliato metodo per gonfiare il fatturato. O almeno questa è l’ipotesi - contestata dalle persone coinvolte - che ha portato la procura ad iscrivere nel registro degli indagati quattro farmacisti e otto medici di famiglia. Le ipotesi di reato, per il momento per tutti, sono di falsità ideologica in certificati, esercizio abusivo della professione medica (per i farmacisti) e truffa. E che truffa: l’ipotesi di lavoro degli inquirenti - che non hanno quantificato ma stimato il giro d’affari illecito sì - è che tra il 2013 e luglio 2015 siano entrati in quella farmacia qualcosa come 300 mila euro che l’Azienda sanitaria non avrebbe dovuto sborsare.
È questo il bilancio della maxi inchiesta portata avanti dal nucleo tributario della guardia di finanza e coordinata dal sostituto procuratore Fabrizio de Angelis. Dopo mesi di intercettazioni, sequestri, ispezioni, e persone sentite a sommarie informazioni e dopo centinaia di pagine di atti, nei giorni scorsi dall’ufficio inquirente è partita la notifica della chiusura indagini.
È presto per dire dove porterà il lavoro di questi mesi da parte delle Fiamme Gialle. Certo l’ipotesi accusatoria è grave. Il gioco sarebbe iniziato un paio d’anni fa, quando in una farmacia della Vallagarina era stato trovato un ricettario firmato in bianco. Da lì l’inchiesta della finanza, che ha messo sotto la lente d’ingrandimento anche il lavoro dei medici che gravitavano attorno alla farmacia.
Secondo l’accusa, la truffa consisteva in questo: le ricette firmate dai medici erano sì a nome di pazienti, che tuttavia non ritiravano le medicine, perché ignari della prescrizione. In alcuni casi sarebbero stati defunti, in altri semplicemente non consapevoli, in altri ancora avrebbero ritirato meno farmaci di quanti prescritti. Anche perché, sempre secondo gli inquirenti, la farmacia aveva a disposizione alcuni ricettari che quindi compilava inserendo un numero di flaconi superiore a quanto realmente necessario al paziente. I farmaci eccedenti sarebbero stati buttati via (o rivenduti a terzi), scaricandoli però come venduti, per poi chiedere il rimborso al sistema sanitario. A ciò si aggiunga l’accusa di aver lucrato sui presidi per invalidi o diabetici: in caso di pazienti che non usavano tutti i presidi offerti dall’azienda sanitaria, quei prodotti sarebbero stati segnati come consegnati. Fossero pannoloni o aghi per insulina o lancette pungidito - sarebbero stati rivenduti a terzi. Queste le accuse.
Ovvio che sono due i profili, comunque tutti da provare in un eventuale dibattimento: quello della farmacia, certo, il cui guadagno illecito, se le tesi accusatorie reggeranno al vaglio del tribunale, appare facilmente comprensibile. E poi c’è il coinvolgimento dei medici. Per cui andrà provato il profitto, meno scontato. Gli indagati, comunque, rigettano ogni accusa: ora avranno venti giorni per convincere il pm della loro buona fede. In caso contrario, dovranno spiegare il loro comportamento ad un giudice.