Amianto, i due operai Rheem morti per mesotelioma: nessun colpevole
Morti per amianto, tutti assolti.
Si è chiuso il processo a carico di tre amministratori della Rheem Radi: un procedimento travagliato, passato due volte davanti al Gup, che alla fine all'aula è approdato. Ma che non ha portato quello che le parti civili - la famiglia di una delle vittime assistita dall'avvocato Alessio Giovanazzi e la Cgil con l'avvocato Giovanni Guarini - si attendevano.
Cioè una dichiarazione di colpevolezza sul fronte penale, per la morte di due dipendenti che erano stati a contatto con l'amianto e che subito dopo la pensione si erano ammalati di mesotelioma pleurico.
Le due vicende erano in parte simili, in parte diverse. Vittime due lavoratori: Francesco Fasanelli, responsabile della squadra di manutenzione della Rheem Radi e Innocente Cappelletti, che nella fabbrica di scaldabagni lavorava nel reparto di assemblaggio.
Entrambi avevano a che fare con le guarnizioni realizzate - secondo l'accusa, ma non secondo la difesa - con fibre di amianto.
Entrambi sono morti pochi anni fa di mesotelioma pleurico. Secondo l'accusa responsabili di quelle morti sarebbero dovuti essere gli amministratori che si sono succeduti negli anni alla guida della multinazionale: Domenico D'Angelo, Valerio Fedeli e Francesco Merloni. Ma il giudice Carlo Ancona aveva già chiarito che per gli ultimi due c'era poco da discutere: sono stati vietati testi su fatti posteriori all'87, cioè a vent'anni prima della morte di uno dei due operai.
Questo perché si è preso come latenza media un periodo di vent'anni: ciò che è accaduto poi non è giuridicamente rilevante. E questo ha di fatto portato all'assoluzione automatica di Fedeli e Merloni, in Cda in un periodo posteriore.
Restavano in piedi gli anni precedenti. E quindi il dibattimento serviva a dimostrare tre cose: l'uso dell'amianto senza protezioni alla Rheem Radi, il nesso causale tra l'esosizione all'amianto e la malattia e la responsabilità dell'imputato.
Quanto al secondo punto, aveva chiarito i dubbi il professor Bianchi, perito in sede di incidente probatorio, che aveva collegato entrambi i tumori all'asbesto. Quanto all'uso in fabbrica, a conferma numerosi operai, che hanno raccontato di operatori che toccavano a mani nude le guarnizioni, senza mascherine con il filtro. Fogli che venivano tagliati e trapanati senza protezioni né aspiratori nella stanza, scarti di produzione che potevano restare nella stanza giorni e poi venivano spazzati via con una semplice scopa e buttati nell'immondizia comune. Una ricostruzione in parte contestata dalla difesa che ha parlato di guarnizioni senza amianto e di acquisiti che i manutentori facevano senza informare la dirigenza.
Ma a fare la differenza, alla fine, è stato il calendario. Cappelletti è stato esposto per 14 anni all'amianto, Fasanelli per 15. E la difesa ha osservato come «D'Angelo è stato nel Cda dall'85 all'88. Sarebbe responsabile quindi di un unico anno di esposizione. Dire che sia stato quell'anno a causare la malattia mi sembra difficile». Una tesi che deve aver convinto il giudice Ancona: assolti tutti.