«In Marangoni, quel giorno, 41 gradi» In aula per la morte in fabbrica
Al netto di tutto, dopo la prima udienza testimoniale, nel processo per la morte dell’operaio Marangoni Carmine Minichino, restano i numeri. Quelli indicati dal tecnico Uopsal che il 22 luglio 2015, il giorno dopo il dramma, è stato in azienda a misurare la temperatura nel reparto vulcanizzazione: 40 gradi. Con un indice Vbgt (che attraverso una serie di parametri valuta il rischio di caldo severo) ampiamente sopra la soglia massima: il limite è di 30 - 35°. Nel reparto presse quel giorno si toccava, a seconda del punto di misurazione, quota 39 - 41°.
Comunque la si guardi, oltre i limiti. Con una ventilazione inesistente: le cappe erano inefficienti. Tutto il resto, sono sensazioni, racconti, riferimenti al clima (non solo meteorologico) che aiutano a capire un lavoro che richiede una fatica fisica forse ignorata dai più. Ma a pesare, alla fine, saranno i numeri. E quelli, per ora (mancano i consulenti della difesa) sono impietosi.
A processo ieri erano in due: Giovanni Marangoni, legale rappresentante della Marangoni preumatici e ieri presente in aula, e Marco Fabbri, il medico del lavoro. Entrambi con l’accusa di omicidio colposo perché, secondo il pm Fabrizio De Angelis, la morte di Carmine Minichino è il frutto di un ambiente di lavoro «inadatto alla condizione umana», come recita il capo d’imputazione. Tradotto: troppo caldo. E di quello sarebbe morto l’operaio, trovato svenuto in reparto, alle 18 del 21 luglio 2015, portato all’ospedale subito, arrivato in pronto soccorso con la febbre a 41° e morto alle 3 di notte per shock termico. Ieri sono sfilati i testi d’accusa. Quindi è presto per farsi un’idea generale: le difese potranno portare acqua alla loro tesi solo la prossima udienza.
Soprattutto perché alcuni dettagli dirimenti - a partire dall’esistenza o meno di patologie che abbiano contribuito al decesso - verranno chiariti solo dai consulenti di parte. Ma una cosa si è detta subito: quel giorno era caldo. L’ha spiegato pure l’operatore 118 intervenuto: «Il termometro dell’ambulanza segnava i 40°, entrando in fabbrica abbiamo avuto la sensazione di una temperatura percepita più alta. Abbiamo evacuato il paziente nel più breve tempo possibile, perché ci sembrava una temperatura pericolosa per lui e per noi». E alla temperatura ha pensato subito anche il medico di pronto soccorso, che infatti ha allertato i carabinieri.
Ma a raccontare del clima in azienda sono stati i colleghi. Uno solo ha parlato di un clima rilassato: «In pausa si poteva andare in qualsiasi momento, nessuno diceva nulla. Io fumo, uscivo a fumare una volta all’ora». Gli altri hanno raccontato di un reparto duro, in cui si lavorava in due: uno al carico e scarico delle presse, l’altro al controllo. Alcuni ruotavano, in queste due mansioni. Minichino si è fatto solo il carico e scarico alle presse. Per mesi. Che significa caricare uno pneumatico da 4x4 tl nella pressa che, a 150°, incide il battistrada. E, quando quella ha finito, aprire, beccarsi il vapore e il caldo, e scaricare lo pneumatico. «Anche d’estate là si lavorava con la tuta a maniche lunghe, chiusa fino al collo - ha spiegato un collega - altrimenti si rischiava di ustionarsi. A Carmine era già accaduto». Qualcuno parla di malori precedenti a quel giorno, ma non ci sono nomi. Altri hanno riferito di lamentele, ma che non sono sfociate in segnalazioni ufficiali.
E poi c’era il clima generale: «Le pause erano state ridotte, non c’erano i 30 minuti per la mensa, avevamo 3 pause da 10 minuti. E controllavano se ti fermavi un minuto in più». Di sicuro nessuno verificava che le pause venissero fatte. L’Uopsal l’ha chiarito: «La temperatura era eccessiva, considerando anche il fatto che era stata eliminata la pausa mensa. Non siamo riusciti a verificare se Minichino ha fatto pausa, quel giorno. Ma ipotiziamo di no, dal numero di pneumatici prodotti, più alto del solito».
Ecco, questo è, appunto, il contesto. Capire se il caldo sia stato la causa diretta della morte di Minichino, è un’altra storia. Serve un intero processo. Quello di ieri era solo l’inizio.