Maltrattamenti, stangata in aula Ex marito condannato: 4 anni e 10 mesi
Quattro anni e dieci mesi. Tanto si è visto comminare ieri mattina, dal giudice Fabio Peloso, un marito lagarino. Una pena per certi versi esemplare: fa capire come non sia necessario un calvario di continue violenze, per integrare il reato di maltrattamenti. Basta che vi sia un clima minaccioso, una soggezione costante. E questo - deve aver ritenuto il giudice - c'era in una casa lagarina, in cui lei era minacciata costantemente, affinché rinunciasse alla separazione. Perché la fine del matrimonio avrebbe significato, per l'uomo - un cittadino tunisino - la perdita della possibilità di ottenere la cittadinanza.
La vicenda risale al secondo semestre del 2016. Protagonista suo malgrado, una famiglia come tante: lei italiana, lui tunisino, un bambino nato pochi anni fa. Ma se il menage familiare per un po' è andato bene, ad un certo punto qualcosa si è inceppato. E i due hanno iniziato a litigare. Una normale crisi di coppia, sfociata in parole grosse e comportamenti magari inopportuni, ma pur sempre comprensibili visto il clima di tensione in cui tutti vivevano? No. O almeno no secondo la donna. Soprattutto, no secondo la procura, che appena è arrivata la querela ha valutato sussistere gli estremi per il reato di maltrattamenti in famiglia.
Questo reato, per altro, è uno di quelli scivolosi. Perché non è mai facile da provare. Serve che vi sia violenza - fisica o psicologica - ma serve che questa violenza sia continuata. Non basta, cioè, che una persona sia violenta una volta. Quelle sono lesioni, o violenza privata. Comunque reato, ma decisamente meno grave. Perché vi siano i maltrattamenti, serve che per un tempo ragionevolmente lungo in una casa si sia instaurato un clima di soggezione. Ma ecco, il caso finito in aula ieri mattina, dimostra che non serve vi siano violenze continue, basta che ad essere violento sia il clima. L'uomo imputato per maltrattamenti, assistito dall'avvocato Cristina Luzzi, era accusato di aver colpito la moglie in due occasioni. In entrambi i casi la lite era stata violenta - un pugno sul naso, strattonamenti, pugni sulle gambe, e minacce con coltello - e lei era stata colpita, tra l'altro in un caso davanti al bambino piccolo.
A far pendere la bilancia sui maltrattamenti è stato il racconto della procura e della parte civile - la donna era assistita dall'avvocato Paola Depretto - che hanno parlato di ingiurie continue, dovute alla paura di lui che la donna chiedesse la separazione, e quindi gli impedisse di restare in Italia. E poi c'erano gli sms, e il controllo continuo del cellulare, a cui si è aggiunto, ha detto la donna, un atteggiamento più minaccioso: lui l'avrebbe seguita nei suoi spostamenti fuori casa. «Ormai le bastava guardarlo in faccia per capire che era di luna storta. E a quel punto se ne andava via», ha detto in aula l'avvocato di parte civile, evidenziando il clima persecutorio. Una tesi che la difesa non ha condiviso: due gli episodi avvenuti, evidentemente violenti. Non una condotta costante.
Ma quest'ultima ricostruzione non ha convinto il giudice Peloso, che ha condannato l'uomo a 4 anni e 10 mesi di carcere, con interdizione dai pubblici uffici per 5 anni. Ha anche l'obbligo di risarcire la moglie, ma sul quantum sarà un giudizio civile a decidere.