L’appello di due infermieri «Non vanificate nostro lavoro»
«Vorrei che la gente non vanificasse tutto questo ora che una bufera è passata, ma tenesse duro come abbiamo fatto noi». Le parole usate da Alessia Munarin e Fabio Paganelli , infermieri al Santa Maria del Carmine, suonano come una preghiera. Perché sono educate, rispettose. Non sono “urlate” ma si rivolgono alla coscienza di ciascuno di noi, perché se nella “fase 1” la guarigione delle persone contagiate dal coronavirus era affidata quasi esclusivamente ai sanitari, in questa “fase 2” è determinante il nostro comportamento. Mascherine, distanze e comportamenti adeguati sono le armi che abbiamo in dotazione per questa battaglia.
«Ora che possiamo guardarci negli occhi, portare una mascherina ed educarci a vivere per un po’ più attenti, è un gesto di amore prezioso per ogni vita umana» scrivono i due infermieri dopo aver visto con i loro occhi le atrocità di cui è capace questo virus. «Non ci sono eroi in questo momento, e neanche prima, ma persone consapevoli che basta togliere un petalo ad un fiore per farne cadere altri cinque. E la primavera dev’essere per tutti la stagione della rinascita e, stavolta, della riflessione».
Alessia Munarin e Fabio Paganelli sono infermieri in forze rispettivamente al pronto soccorso ed al blocco operatorio. «Nessuno di noi avrebbe mai pensato di ritrovarsi catapultato in questi due mesi che hanno sconvolto non solo le nostre vite personali e quelle di tutta la popolazione, comprese quelle delle persone che amiamo, ma soprattutto la nostra vita professionale». Sono stati dirottati in terapia intensiva durante questo periodo di emergenza coronavirus. A due mesi esatti da quando il Santa Maria del Carmine è diventato il Covid-center del Trentino tornano ai rispettivi reparti. Per la precisione Fabio Paganelli ha già finito la sua esperienza, mentre Alessia Munarin sarà di supporto alla squadra della rianimazione roveretana dedicata ai pazienti più gravi del Covid-19 ancora per qualche giorno.
Tutto era iniziato la notte tra il 6 ed il 7 marzo quando arrivò il primo paziente in terapia intensiva a Rovereto. Soltanto poche ore prima era stata data comunicazione ufficiale del fatto che quel reparto avrebbe accolto i casi più difficili della pandemia in Trentino. Ora che la fase critica è calata (sono sei i pazienti rimasti in terapia intensiva a Rovereto), tornano nei rispettivi reparti ma con bagaglio più ricco di prima ed un’esperienza che non dimenticheranno. Per ciò che hanno visto, imparato e per quell’alchimia che si è creata nel gruppo in queste settimane così difficili e delicate.
«Abbiamo passato quasi ogni giorno riconoscendoci a volte solo dagli sguardi: è un’esperienza che ci legherà per sempre, professionisti, esseri umani come tutti voi che, seppur provenendo da realtà diverse, hanno fuso una nuova realtà. Qualcosa che ti travolge senza darti il tempo, dal momento in cui entri per la prima volta, di realizzare cosa sia questo Covid così forte da aver fermato le nostre routine quotidiane e vite. Tutto in lockdown . Ho ritrovato colleghi, conosciuto giovani infermieri, visto gente rimettersi in gioco dopo anni in altre realtà: il nostro grazie va a questo gruppo infermieristico indelebile, sempre uno a fianco all’altro. Persone unita da scopo: lottare con il cuore da fare quasi fatica a spiegarlo, lottare per ogni persona che era sdraiata su quei letti, per i loro cari, lottare senza lamentarsi della stanchezza, del caldo, della sete, dell’aria secca sotto le maschere. Lottare per sostenerci e sostenerli umanamente».
Sono stati due mesi duri gli ultimi, come racconta anche questa testimonianza che arriva dal Santa Maria del Carmine. Il primario del reparto di terapia intensiva di Rovereto, Giovanni Pedrotti, aveva definito la situazione provocata dal coronavirus uno tsunami che ha travolto la sua squadra e tutte le persone via via coinvolte nel gruppo. Le coordinatrici dello stesso reparto hanno parlato di qualcosa di mai visto prima, inimmaginabile nemmeno nelle simulazioni più fantascientifiche. Un’esperienza che difficilmente dimenticheranno, ma che dovremmo tenere bene a mente tutti dopo tutto quel che è successo e con il pericolo che il virus possa tornare ad essere più “aggressivo”.
«Grazie a tutti gli infermieri della rianimazione 1 e 2 di Rovereto, trentini e da Borghet en zo ...» concludono i due infermieri nella loro intensa lettera, scritta per ringraziare la squadra con cui hanno affrontato questa difficile ed imprevista sfida negli ultimi due mesi.