Ecco perché fu legittimo dare del «fascista» a Salvini (secondo la sentenza)
Insultare un politico di grido per la sua condotta politica è lecito e non costituisce reato. Lo ha stabilito il giudice di pace Paola Facchini che ha assolto l’avvocato Paolo Mirandola (all’epoca dei fatti consigliere comunale del Pd) dall’accusa di diffamazione nei confronti del leader della Lega Matteo Salvini. L’imputato aveva pronunciato frasi ingiuriose nei confronti dell’ex vicepremier durante un’accesa seduta del civico consesso. Parole forti che erano finite poi alle orecchie di Salvini che aveva quindi denunciato il legale roveretano.
Al di là della richiesta di condanna, però, il numero uno del Carroccio chiedeva un sostanzioso risarcimento danni: 30 mila euro per se stesso e altri 50 mila per la Lega. Per il magistrato roveretano, «le parole pronunciate dall’imputato - scrive nelle motivazioni della sentenza - vanno collocate nell’acceso dibattito politico che a quel tempo divideva i contrapposti partiti e occupava molti spazi sui media investendo della questione tutta l’opinione pubblica. In questo senso deve ritenersi che le espressioni usate dal consigliere di maggioranza, certamente offensive nei riguardi dell’esponente della Lega Nord, abbiano avuto un evidente connotato politico, non essendo state dirette in modo gratuito ed esclusivo alla persona di Matteo Salvini ma alla persona del leader della Lega quale capo politico promotore e sostenitore di idee non condivise e fortemente avversate collegate alle recenti manifestazioni di piazza. Infatti le espressioni forti e suggestive utilizzate dall’imputato non hanno riguardato la sfera privata dell’offeso, ma la sfera pubblica. Ciò è chiaramente desumibile dal tema di discussione e dalle stesse frasi pronunciate: “Il collega Angeli ha indossato la maglietta “Renzi a casa”. Io su questa cravatta, non si vede, ho scritto “Salvini in galera”. Salvini, un mascalzone, un delinquente abituale per tendenza, inserito naturalmente in un discorso politico, ha radunato il peggio del Paese, i fascisti, Casa Pound, le associazioni che son venute dalla Germania, dalla Grecia, da altri Paesi, le più destre possibili, le più pericolose possibili”».
Il magistrato ricorda quindi che «il consigliere Mirandola etichetta il leader della Lega come un “mascalzone, un delinquente abituale per tendenza” ma aggiunge l’inciso “inserito naturalmente in un discorso politico”». Di qui l’esimente. «Appare pertanto evidente che la critica si pone non sul piano prettamente personale ma sul piano politico. Quello che viene criticato all’esponente dell’opposizione è il fatto di aver radunato non solo i militanti della Lega ma anche gruppi neofascisti e altre associazioni estremiste di destra provenienti da altri Paesi europei. Ne consegue che la questione trattata, essendo di interesse pubblico, può escludere la rilevanza penale dell’offesa in quanto il fatto contestato al destinatario dell’invettiva acquista rilevanza pubblica e si basa su un nucleo fattuale che ha connotati sufficienti per potere trarre un giudizio di valore».
Il giudice di pace rileva più volte, in sentenza, che «la manifestazione del pensiero dell’imputato si inseriva in un discorso di forte critica politica collegato a un evento di dominio pubblico che aveva avuto un ampio eco sui mezzi di informazione. Ne consegue che le espressioni usate dall’imputato, seppure forti e pungenti, attengono all’esercizio di critica politica».