Storia del rio Coste, un bel ruscello di Rovereto diventato una cloaca chimica
In mezzo c’è il progetto di riqualificazione del Comune
ROVERETO - Il rio Coste? È a rischio. Certo, non è una novità ma dopo una serie di bonifiche messe in atto in passato dal Comune torna a ripresentarsi l’incubo di rifiuti (non tutti ben identificabili) che potrebbero minare l’acqua non solo del ruscello che, attraverso la zona industriale, si tuffa in Adige ma del fiume stesso. E pensare che dall’ultima vasta operazione di pulizia del rivolo che passa in mezzo al parco dei Lavini sono passati solo cinque anni. Con una spesa di quasi 400 mila euro per sminare una delle tante bombe ecologiche figlie degli scarichi incontrollati. Ma quella «rozza» che è quasi sempre anonima, ma che di quando in quando sembra diventare linfa vitale per la comunità, è sempre e comunque una spugna per la sporcizia delle fabbriche ma pure di chi ci vive attorno. E pensare che, per assurdo, non è nemmeno inserita nel Piano di tutela delle acque varato dalla Provincia. In parole povere è un rigagnolo fine e a stesso che ha l’unica colpa di tuffarsi nell’Adige. Peccato però che accoglie i rimasugli di lavorazione, più o meno depurati, di attività produttive e perfino del depuratore del Navicello. Insomma, è un collettore fognario a sua insaputa, almeno dal punto di vista burocratico-formale.
Il tanto bistrattato rio Coste, però, di quando in quando balza agli onori della cronaca grazie ai paladini dell’ambiente. Che possono essere politici ambientalisti che chiedono lumi o, più concretamente, forze dell’ordine e procura che ci mettono il naso e vogliono mettere un freno all’inquinamento. In mezzo c’è la politica amministrativa, quella che programma la realizzazione di un bioparco in cui passeggiare e respirare aria buona. I Lavini sono l’esempio tangibile. Il Comune, da tempo, progetta di trasformare quel pezzo di terra lagarina in un polmone di relax per i cittadini. E fa bene. Però c’è sempre quel serpentino liquido che lo attraversa accollandosi le sporcizie di varie aziende. Due su tutte: depuratore e Suanfarma. Proprio quest’ultima - in realtà un esempio di investimento in tutela ambientale - è finita al centro di un’inchiesta, diciamo così, ecologica. Con tanto di sequestri da parte della procura. E questo proprio quando la società aspettava una risposta dalla Provincia per poter pompare più acqua. Perché proprio l’acqua è un elemento fondamentale per la produzione di preparati base per antibiotici.
La Suanfarma, oltre ad attingere dall’acquedotto di Spino, d’altro canto sfrutta pure quattro pozzi interni e da tempo chiede di poter pompare dalla falda. Per capire lo sforzo idrico indispensabile alla fabbrica farmaceutica di Lizzana basti pensare che impiega ogni anno 2 milioni 350 mila metri cubi di acqua presa appunto dall’acquedotto comunale e 2,8 milioni dai pozzi. Il consumo totale dell’oro blu nella città della Quercia (utenze civili e industriali) è di 4,4 milioni di metri cubi. La metà di quel che esce dal rubinetto, dunque, finisce alla Suanfarma. Si tratta di liquido fondamentale per il processo produttivo e per il raffreddamento. Ma quell’acqua, poi, viene scaricata prima nel rio Coste e poi nel fiume Adige. Ed è qui che sono entrati in azione la procura della Repubblica, i carabinieri del Noe e l’Appa. Che hanno ravvisato anomalie contestando alla multinazionale il reato di inquinamento ambientale ed elusione dei controlli.
Questo, però, è un altro capitolo. In mezzo, come detto, c’è il progetto di riqualificazione del Comune. Che ha deciso di suddividere l’area in 15 settori, ognuno dei quali interessato da una trincea esplorativa scavata con la pala meccanica. Gli operai hanno rimosso la terra fino ad un metro di profondità per analizzarla e conoscere davvero lo stato dell’arte dal punto di vista delle scorie raccolte. Il rio Coste, dunque, è l’intruso che comunque deve essere monitorato. Perché attraversa un angolo di città che insiste in gran parte nel biotopo dei Lavini e che è oggetto da tempo di una campagna di pulizia che il Comune ha adottato stanziando all’uopo un milione e mezzo di euro. Tanto più che nel 2015 quattro operai accusarono malori per essere entrati in contatto con i vapori sprigionati dal corso d’acqua. Un po’ troppo per non metterci mano una volta per tutte. Ecco allora l’ordine di dragare il ruscello e rimuovere rifiuti e liquami. L’intervento effettuato nemmeno un lustro fa e costato 370 mila euro, ha riportato in «vita» un torrente che, in teoria, dovrebbe raccogliere le sole acque meteoriche della zona industriale e di Lizzana ma che invece ospita di tutto, alla stregua di una discarica. Parte della colpa, dicono in piazza del Podestà, è del villaggio sinto della Mira che usa il Coste come pattumiera. Tanto che gli inquinanti peggiori derivano proprio dalle batterie esauste delle macchine gettate in acqua. Ma quel serpentello liquido è la cloaca di tanti, su tutti Suanfarma e depuratore.