Ciclisti lanciati lungo l'Adige, in aumento i pedoni investiti. Al Pronto soccorso una media di due feriti al giorno
La polizia locale, che di lamentele ne ha ricevute parecchie, ha già formato un'apposita squadra di vigili urbani ciclisti che entrerà in azione in primavera. Con lo scopo, appunto, di mantenere l'ordine in un luogo che si pensava libero da «fuorilegge»
ROVERETO. È uno stillicidio. E, cosa ancora più grave, nessuno conosce le regole oppure se ne infischia. Le piste ciclopedonali - e si rimarca la denominazione, perché vuol dire percorsi battibili tanto da ciclisti che da gente che passeggia - sono ormai terreno di caccia di atleti che scambiano il tracciato per un velodromo.
E a farne le spese sono i camminatori, specie se avanti con l'età. Ne sanno qualcosa al pronto soccorso dell'ospedale Santa Maria del Carmine anche se, ufficialmente, gli accessi non hanno subito una crescita esponenziale. «Siamo nella norma, non c'è stata un'impennata ma sono comunque nell'ordine di uno o due al giorno», spiega il primario Guido Malalan. Il problema, però, c'è e comincia a sconfinare nella scheda «guaio».
Perché sono davvero troppi gli arrotati che ricorrono al pronto soccorso piuttosto che alla guardia medica lamentando l'investimento da parte di novelli Cipollini (o Pantani, a seconda dei gusti di ognuno) sulla pista lungo l'Adige. Che, ripetiamo allo sfinimento, è catalogata come ciclopedonale e dunque non riserva esclusiva dei pedalatori.
L'ultimo episodio è di qualche giorno fa, zona Marco. A finire in sala gessi è stata una signora travolta nel sottopasso dell'autostrada a due passi dall'ex Montecatini. Per lei è stato un calvario, con spese di cura da imputare all'ignoto e non ristorate da qualsivoglia assicurazione. Perché il ciclista in questione («secondo me è un sessantenne», racconta) si è fermato giusto il tempo per dire proprio che non era assicurato e ha pure lasciato nome, cognome e numero di cellulare inesistente. La questione, dunque, è oltremodo seria. E le segnalazioni di pedoni che si sono rotti gli arti o comunque sono finiti a terra si moltiplicano.
La colpa? Proprio di chi scambia la ciclabile per una pista da gara e, sfrecciando ai 50 all'ora, travolge chi c'è in mezzo arrabbiandosi pure perché convinto di aver ragione. La polizia locale, che di lamentele ne ha ricevute parecchie, ha già formato un'apposita squadra di vigili urbani ciclisti che entrerà in azione in primavera. Con lo scopo, appunto, di mantenere l'ordine in un luogo che si pensava libero da «fuorilegge». Ma non è così.
«Mi hanno consigliato di sporgere denuncia e, non a caso, mi sono rivolta ai carabinieri. É assurdo quanto mi è successo ma poi ho scoperto che sono davvero in tanti ad essere stati investiti e nessun ciclista si ferma. - spiega la donna finita all'ospedale - Il guaio è che, al di là delle fratture, ci sono spese ingenti da sostenere per le cure private, perché la sanità pubblica, in un periodo di Covid, cerca di lasciarti fuori dall'ospedale. Dico solo che, al di là del braccio rotto, per evitare l'operazione al ginocchio mi hanno consigliato un tutore che alla fine ho pagato 700 euro».
E qui entra in ballo un'altra grana: l'assicurazione. Pochissimi ciclisti l'hanno stipulata e chi fa del male a qualcuno preferisce svignarsela per non pagare. «Quando quell'uomo con la bici nera, casco nero e vestito di nero mi ha travolto non si è nemmeno premurato di chiamare l'ambulanza. Mi sono rialzata sanguinante e dolorante e gli ho chiesto se avesse almeno l'assicurazione perché mi aspettavo di dover pagare le cure. Mi ha detto che non l'aveva e poi mi ha dato generalità e cellulare falsi e se n'è andato. Ho sporto denuncia ma non tanto per avere risarcimenti quanto perché so di tanti anziani investiti sulla ciclabile che hanno la pensione minima e devono svenarsi per pagare una badante nel periodo di riabilitazione».
Sotto accusa, ovviamente, sono «l'arroganza e la mancanza di senso civico. Cominciano ad essere in troppi i ciclisti che travolgono pedoni e poi tirano dritto». Insomma, la pista selvaggia fa parlare di sé. E il dito è puntato contro chi sfreccia per allenarsi incurante di anziani e famiglie con bimbetti che si fanno quattro passi. La norma, in tal senso, è chiara ma l'ignoranza, come sempre, la fa da padrona. Gli episodi, tra l'altro, sono tanti come pure le beghe tra chi in sella chiede spazio per correre e chi invece si gode il nastro d'asfalto lungo il fiume per una passeggiata.
Proprio la promiscuità è messa a rischio dall'incapacità di condividere uno spazio «outdoor» che dovrebbe fare star bene ma invece fa emergere i peggiori istinti. E i fanatici del pedale, a questo punto, sono pericolosi. Anche e soprattutto perché si dimenticano che la pista è aperta sia a ciclisti che pedoni.