Come si definiscono i roveretani? «Lamentoni» ma orgogliosi e innamorati della propria città
Il sociologo Nadio Delai, tra i più acclamati d’Italia, ha fotografato i cittadini in una ricerca commissionata dall’Apt per pensare al turismo di domani: «Venezia e l’Illuminismo hanno tracciato la rotta»
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ROVERETO. Il roveretano medio si definisce lamentoso, triste, pessimista, criticone ma pure affidabile, accogliente, solidale, laborioso e assolutamente innamorato del proprio territorio. É questa, in estrema sintesi, la fotografia che esce da un certosino studio del sociologo Nadio Delai. Che, di fatto, ha chiesto alla gente come si sente e cosa pensa del futuro. In un'ottica turistica, almeno per quanto riguarda la promozione. La ricerca, d'altro canto, l'ha commissionata proprio l'Apt.
L'aspetto più curioso è l'orgoglio lagarino nell'aver vissuto, storicamente, sotto l'ombrello progressista della Repubblica Serenissima, essere aperti grazie alla contaminazione commerciale con Veneto ed aver respirato a pieni polmoni il secolo dei lumi. E piace anche l'aver assorbito l'ultimo periodo asburgico che ha portato efficienza amministrativa, scuola per tutti e qualità urbanistica. Il vanto maggiore, hanno confermato quasi sette intervistati su dieci, è però non aver subito minimamente l'influenza dei principi vescovi di Trento. E quest'assenza è un valore aggiunto rimasto scolpito nel Dna degli abitanti tanto da portarsi dentro ancora un distacco marcato con il capoluogo. Anche se, e questo spiace, è il sentire Rovereto come una capitale mancata.
Lo studio, per capirci, mirava a capire se chi vive in Vallagarina abbia o meno una propria identità, un'impronta genetica, un marchio distintivo. Un'analisi affidata, attenzione, per la prima volta. Perché conoscere chi siamo e da dove veniamo serve per cogliere dove andremo. Ecco dunque che il presidente dell'Apt Giulio Prosser ha affidato l'incarico a Nadio Delai, uno dei sociologi più prestigiosi d'Italia. É stato lui, dopo alcuni mesi di indagine e interviste a tappeto tra classe dirigente e popolino, a tracciare quella sorta di Dna che ora spiega al mondo perché chi è nato tra i Murazzi e Borghetto è una persona della Vallagarina.
Un codice genetico, quello studiato da Delai che, nelle intenzioni dei promotori del progetto, serve per capire come promuovere il turismo a queste latitudini. E i roveretani hanno confermato di vedere proprio nel turismo un rilancio economico e sociale, prima ancora dell'industria che, nel tempo, ha comunque fatto la fortuna di questa terra.La scelta di definire l'identità lagarina, insomma, si inserisce in un percorso di marketing ben preciso perché questo focus servirà come base per lanciare il turismo in tutti i comuni avendo ben chiaro su cosa puntare per attirare visitatori. Che, per altro, non mancano e che, soprattutto, nel periodo post Covid hanno preferito abbandonare il mordi e fuggi per fermarsi più giorni e godere delle offerte culturali, outdoor, enogastronomiche.
Lo stesso Prosser assicura che, rispetto al passato, i turisti pernottano esattamente il doppio favorendo quindi anche l'indotto. Nadio Delai, dunque, ha indagato la vocazione della gente lagarina spingendo sull'autocritica per far emergere i pregi e i difetti e capire che aspettative si pone. E quello che è emerso è un popolo grato al proprio passato, che soffre la concorrenza con Trento e l'Alto Garda e che è fiero dei trascorsi e del territorio. E che, sul futuro, pensa soprattutto allo sviluppo di un turismo soft, ad un alleggerimento del traffico, all'accoglienza diffusa e ad un ritorno all'agricoltura.
Poi, certo, resta l'industria che negli anni ha dato tanto. Ed è ancora nei pensieri dalla gente che, nonostante le piccole aziende siano traino e fonte di Pil, confidano nell'arrivo di grandi fabbriche come nell'epoca d'oro. La tutela del «buon vivere», per capirci, è balzata in testa alla metaforica classifica dei «desiderata», con tutto ciò che ci corre intorno, soprattutto sul versante sostenibilità. I roveretani, però, pur credendo in un futuro che rilanci le prerogative del passato temono il domani. E, per altro, non vedono di buon occhio la protezione di mamma Provincia. Perché la convinzione di non aver avuto la protezione vescovile - intesa come politica - li rende fieri di essere lagarini.
Non solo di Rovereto città, quindi. La specificità di ogni fazzoletto della valle, infatti, piace proprio perché è diversa ma assolutamente compatibile, capace di stare insieme. Anche se quel mancato titolo di «capitale» resta ancora un pizzico sulla natica.