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Disuguaglianze di genere anche nella sanità trentina: i progressi sono lenti

Il 73% dei dipendenti sono donne, ma il 71% dei direttori sono uomini. E, a parità di ore lavorate e di categoria professionale, resta un 4,5% di differenza di stipendi a favore dei maschi. La differenza tra il salario annuale medio percepito dalle donne e quello percepito dagli uomini è al 29%

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TRENTO - Il 73% dei dipendenti sono donne. Ma il 71% dei direttori sono uomini. E, a parità di ore lavorate e di categoria professionale, resta un 4, 5% di differenza di stipendi - naturalmente, purtroppo, a favore dei maschi -. Ancora: il cosiddetto Gpg (Gender pay gap, ovvero il divario retributivo di genere, cioè la differenza tra il salario annuale medio percepito dalle donne e quello percepito dagli uomini) è al 29%: ogni 100 euro percepiti da un uomo, la donna ne prende 71.

In generale i miglioramenti ci sono, ma sono lenti e andando avanti di questo passo di vorrebbero ancora 27 anni per arrivare alla parità. I dati emergono da uno studio realizzato dall'Azienda sanitaria, in particolare dall'Osservatorio epidemiologico del Dipartimento di prevenzione, proprio sui dipendenti dell'Apss.

I numeri, come detto, sono in miglioramento nel confronto fatto tra il 2017 e il 2023: in sei anni qualche passo avanti è stato fatto, ma le differenze, o meglio le disuguaglianze, restano comunque evidenti.

Il settore della sanità - come quello della scuola - resta in grandissima parte "in rosa": sul totale dei dipendenti, infatti, il 73% è donna, con una crescita di due punti percentuali rispetto al 2017.

La percentuale cresce ulteriormente se si guarda solamente al "comparto", ovvero chi lavora in corsia, con il 77% di donne (era il 76% nel 2017). I numeri, invece, si avvicinano parecchio se si guarda solamente alla dirigenza: in questo caso, infatti, le donne scendono al 55%, ma il dato è in crescita rispetto a sei anni fa.

Passando all'analisi del solo settore della dirigenza Apss, le percentuali cambiano radicalmente, fino quasi a invertirsi: insomma, se chi lavora è donna, chi comanda è uomo. I direttori di struttura complessa sono infatti al 71% uomini, ma c'è una buona - o meglio equa - notizia: questa percentuale nel 2017 era addirittura all'85% e quindi il numero di donne ai vertici è in aumento.

Sono più o meno divisi a metà gli incarichi di responsabile di struttura semplice (48% uomini, erano il 61% sei anni fa) e quelli di alta professionalità (50 e 50 per cento, erano il 54% uomini nel 2017).

Per quanto riguarda gli orari di lavoro, nel comparto il 43% delle donne ha un contratto con orario ridotto, mentre per la dirigenza si scende al 19%. Se ne evince, quindi, che se si vuole comandare non si prende il part time.

Entrambi i dati sono in leggero calo: nel 2017, infatti, i contratti a orario ridotto per le donne erano il 47% nel comparto e il 21% nella dirigenza. Nello studio vengono indicati i quattro fattori che favoriscono il Gender Pay Gap, che sono gli stereotipi in istruzione e occupazione, la segregazione occupazionale (ovvero meno donne in posizione di vertice), il lavoro con orario ridotto e le carriere interrotte.

Fattori che raccontano bene come anche in sanità la cura dei bambini e della famiglia, a discapito della carriera e, quindi, dello stipendio, siano ancora in gran parte a carico delle donne. In assoluto il Gpg - calcolato come rapporto delle retribuzioni annuali medie di donne e uomini, indipendentemente dalla categoria professionale e dalle ore lavorate - si assesta in Azienda sanitaria al 29%, in calo rispetto al 35% del 2017.

Il Gpg ponderato - ovvero a parità di ore di lavoro e inquadramento professionale - resta stabile al 4,5%. L'Apss, infine, individua quattro politiche per ridurre il Gpg, facilitare la partecipazione femminile al lavoro e andare verso la parità: promuovere il congedo di paternità, favorire la condivisione degli impegni familiari in misura uguale, implementare programmi a sostegno dei ritorno al lavoro delle donne dopo il parto ed estendere i servizi di cura.

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