Scalone di ferro ai Lavini, l'architetto Lucchin: «Si è superato ogni limite»
La bocciatura da parte del luminare bolzanino della struttura nel sito paleontologico del percorso delle orme dei dinosauri: «Il paesaggio dovrebbe essere tutelato e rispettato per permetterci di abitarlo. Qui dilagano lo sciatto e il brutto»
ROVERETO. «La passerella in acciaio, come "belvedere" per ammirare le impronte dei dinosauri, mi sembra possa rientrare nel superamento di quel limite di senso, che inevitabilmente porta a non averlo più». È un giudizio netto quello che esprime Claudio Lucchin, architetto di Bolzano autore di numerose opere a livello nazionale e internazionale, sul discusso percorso per i visitatori ai Lavini.
Il suo intervento non si limita soltanto alla passerella ma riguarda in generale il valore e il significato del paesaggio in molti casi inesorabilmente compromesso dopo l'intervento dell'uomo.
«Qual è il senso di un'opera, cioè la brutta passerella in acciaio zincato, che non ha nessuna struttura di supporto intorno (struttura di accoglienza e d'informazione), come a dire, che è bastata l'approvazione e l'autorizzazione per realizzarla, indipendentemente dal fatto che sia realmente utile a un qualche tipo di percorso espositivo, educativo, turistico o chissà cosa. Al di là del fatto, che le impronte che troviamo in quel posto siano realmente comprensibili da un pubblico medio che non sa nulla di paleontologia e cose simili, che normalmente le derubricherebbe a naturali concavità della pietra. Si obietterà - aggiunge l'architetto - che bisogna valorizzare i patrimoni culturali presenti sul territorio, ma il sapore di questo intervento sa molto da "ansia da prestazione", nel senso di voler fare qualcosa per attirare un po' di turisti in più, come se in generale ci mancassero».
Ma, la storia di questa passerella, mette in gioco, è il parere del professionista bolzanino, «anche la crisi narrativa ed esistenziale di questo nostro tempo, nel momento stesso in cui fatichiamo a collegare il massimo di potere economico con il minimo di rapporti umani e il massimo di capacità tecnica con il minimo di sapere intorno agli scopi. In un momento così difficile anche la presenza di una classe politica totalmente incapace di visione, che, come scritto dall'antropologo Marc Augé "hanno finito con il non chiedersi più dove vanno, perché sanno sempre meno dove si trovano". Spesso, fanno tanto per fare, perché bisogna pur essere uomini del fare, senza uno straccio di pensiero dietro, se non quello di giustificare tutto ciò che di sbagliato continuano a fare. La mente umana, ci dice la scienza, non è un semplice meccanismo d'identificazione e di etichettatura degli oggetti che ci circondano, ma si è evoluta anche come dispositivo di reazione affettiva, capace cioè di attribuire un valore emotivo a ogni elemento della nostra vita».
Claudio Lucchin immagina, allora, «l'emozione del visitatore nel passeggiare su quel rumoroso grigliato zincato, pensando tra un passo e l'altro che, se si è fatta quella passerella, allora tutto è possibile basta volerlo; che lo sciatto e il brutto stanno invadendo il nostro immaginario collettivo, e che del paesaggio non ce ne frega più niente. Peccato, che il paesaggio, dovrebbe essere tutelato e rispettato per permetterci di abitarlo e, per poterlo abitare, non è sufficiente sapere, ma è necessario saper fare.
Saper fare bene le cose, con un valore etico e uno estetico, perché la bellezza non è indifferente alla nostra vita, anzi, si trasmette in tutte le direzioni (così come la bruttezza), tra i membri di una popolazione e oltre i suoi confini. E questa trasmissione estetica svolge un ruolo cruciale nello "sviluppo" delle culture umane. In questo caso, mi verrebbe da dire, pessimo! D'altro canto, se la vita è apprendimento, questo vuol dire che la modalità con cui esistiamo è di tipo adattativo, cioè, esistiamo, evolviamo, ci esprimiamo e ci caratterizziamo in funzione di un contesto che cambia; ma, se il contesto (ambientale, politico, economico, ecc.) è sempre peggio, allora si disorientano anche gli impulsi e le ambizioni umane, con la conseguenza di farci smarrire qualsiasi contatto con il reale, e qualsiasi contatto con il pensiero. Che significa, non avere più il "senso del limite"».
Alla fine di questa sua riflessione, due ultime considerazioni. «La prima, per me sarebbe stato meglio non toccare quel luogo in alcun modo, in ogni caso, a disastro avvenuto, qualche intervento di mitigazione dell'impatto dovrà pur essere fatto affidandolo magari ad un artista, perché l'approccio è molto ingegneristico e poco rispettoso del contesto. La seconda considerazione riguarda il ruolo dei Musei, che in Trentino hanno avuto e continuano ad avere una grande presenza, quindi, pensare al Mart o al Muse, o a entrambi, come sedi giuste per valorizzare quelle impronte, con simulazioni tridimensionali e quant'altro la tecnologia ci mette oggi a disposizione. Che significa - conclude l'architetto Lucchin - utilizzare al meglio anche le Istituzioni presenti, senza necessariamente far diventare tutto il resto un "parco dei divertimenti".»