Addio a Giorgio Tononi, sindaco gentiluomo
L'immagine, ci rimane nel cuore. Lui, Giorgio Tononi, tutto fervido nelle testimonianze, negli adempimenti, senza mettere a carico doveri di immagine, titoli di giornata. Inizialmente, da uomo del turismo, quell'accoglienza costruita e offerta della vetrina amabile di Trento; da sindaco, l'impronta forte e partecipata della città; da assessore provinciale al turismo e agli enti locali, con Mengoni, Malossini e Bazzanella, per due stagioni, fino al '93, quell'incentrare anche nelle immagini all'estero le risonanze delle Dolomiti; da presidente della Cri una rianimazione della solidarietà, anche locale, fatta diventare estesa
L'immagine, ci rimane nel cuore. Lui, Giorgio Tononi, tutto fervido nelle testimonianze, negli adempimenti, senza mettere a carico doveri di immagine, titoli di giornata.
Inizialmente, da uomo del turismo, quell'accoglienza costruita e offerta della vetrina amabile di Trento; da sindaco, l'impronta forte e partecipata della città; da assessore provinciale al turismo e agli enti locali, con Mengoni, Malossini e Bazzanella, per due stagioni, fino al '93, quell'incentrare anche nelle immagini all'estero le risonanze delle Dolomiti; da presidente della Cri una rianimazione della solidarietà, anche locale, fatta diventare estesa. Un ascolto senza cerimoniali, all'occorrenza azione risoluta, oltre le procedure burocratiche. Sindaco celebrato, nell'agosto '78, per quell'ordinanza di chiusura della Sloi, una dominanza ereditata dal capitalismo degli anni Trenta, quando, inizialmente dopo la stracolma alluvione del '66, successivamente, nell'agosto '78, una stessa invadente «nuvola gassosa» aveva introdotto il tema della salvaguardia alla salute dei lavoratori, come nuovo vocabolo di scienza, il piombo tetraetile. A richiamare incombenti (spesso ignorati) emblemi di buon governo. Nei dintorni più immediati, quotidiani, l'affetto ricambiato dalla famiglia: Marisa, in quell'accompagnamento di esistenza, istante dopo istante, quella permanente curiosità del mondo esterno, anche il cammino tra i rifugi di montagna; e poi i figli, Giulio nell'America intitolata a Madison-Wisconsin, uomo dal richiamo forte della scienza «mondiale», a spiegare un come e un perché della «coscienza», ultimamente anche in Giappone, ad articolare confronti nelle accademie; Massimo, a Londra, tutto espressivo nei vertici finanziari internazionali, consistente stratega anche a Trento; Marcello, uomo di tempra e di lavoro, veglia al padre nelle notti insonni.
La sua vita pubblica, inizialmente, aveva ruotato nella Dc (settore giovanile) e intorno ai Piccoli. Nel '52, segretario particolare di Nilo, sindaco (era stato preceduto nell'incarico da Flavio Mengoni), quindi, nell'83, seguace di Flaminio, per un approdo al Senato della Repubblica, mancato per poco. Erano tempi di politica maiuscola. Da sindaco, nel '75, era succeduto a Edo Benedetti. Era una combinazione Dc-Psdi, Pietracci vicesindaco. Peraltro, introduttivamente, a percorso intralciato, due mesi di fatiche, senza maggioranza a voti evidenti, lui sindaco nei panni di «consigliere anziano», a favorire il dialogo, in quel momento anche avviluppato in disegni di sinistra più determinante di prima. Dopo i socialisti, nei loro tormenti, anche un affacciarsi dei comunisti. Rieletto nell'80, dimissionario nell'83, a seguire l'inoltro, dettato dalla Dc, nella citata traiettoria elettorale per il Senato. In quell'ultimo procedere amministrativo, aveva completato alcuni segni di futuro, l'introduzione operativa del piano regolatore, qua e là tormentato; le condeterminazioni operative seguite alla circonvallazione, detta di destra Adige; nell'edilizia popolare, un faticato inserimento di vedute con la Provincia, per le prime «torri» alla Madonna Bianca (che sarebbero poi state «deplorate» da Amintore Fanfani, presidente del Consiglio, tutore del paesaggio, in una sua visita a Trento).
Non a caso, tuttavia, se si chiede, di Tononi, un ricordo di gesto forte, a lasciare un segno, si cita l'episodio Sloi. Lui non volle promuoversi sul campo, da anticapitalista, in quell'accostamento dei timori di un domani insidiato da «nuvole gassose» dentro le case, alimentate, chi sa, dagli accatastati fusti di sodio (questo era il dire eccitato della gente); in quella forte occasione di contrasto con la dirigenza societaria, attraverso i suoi collaboratori a palazzo Thun, andò a escogitare, nella sua ordinanza di chiusura, un ruolo di ufficiale di governo, che si dimostrò vincente, anche a fronte dei ricorsi romani.
Tuttavia, nei riquadri della storia di una città, la «figura» accompagna le opere. Lui, uomo applicato ai doveri di presenza, non entrò nei circuiti diretti della politica, nella Dc, a evidenze correntistiche. Si potrebbe aggiungere che allora, generalmente, la politica rappresentava forti momenti ideali. Certamente, anche a rischio di singole decadenze di tono, tanto innumeri nelle attualità. Era uno stare insieme quello che lui andava a ricercare, accompagnando gli eventi. Mettiamoci anche, negli anni Sessanta, la realizzazione del Villaggio Sos di Gocciadoro, quel suo inserirsi di allora, insieme a Nilo Piccoli, tra i soci fondatori dell'istituzione, adesso internazionale. Passando ad assetti meno sublimi, un certo rammarico vorrei rivelarlo, tra gli argomenti scherzosi della nostra amicizia: non mi è mai riuscito di portarlo allo stadio Briamasco, lui sindaco, io presidente del Calcio Trento, in un incontro di campionato o nel grande vedere di Inter o Roma. Lui, la domenica, era uomo dei rifugi alpini, con Marisa e gli amici. In qualche modo, a questa diserzione dalle passionalità pallonare, ha messo rimedio il sindaco Andreatta. Come si sa, la storia è varia e diversa, talvolta anche cammina.