Europa da cambiare, non da sfasciare
In una delle più squallide campagne elettorali che l'Europa abbia mai vissuto, in cui l'Italia primeggia per insulti, falsità e bieco populismo, una fetta consistente delle forze politiche cerca di far credere che abbattendo l'euro e uscendo dall'Unione, asservendo la Banca centrale alla politica o azzerando i titoli di stato, si possano risolvere i problemi. In realtà sarebbe la mazzata finale non solo all'idea di Europa e di integrazione fra i Paesi, ma alla sopravvivenza dei singoli stati nazionali, specie i più indebitati come l'ItaliaI tuoi commenti
Domenica 25 maggio non si vota soltanto per eleggere il parlamento europeo. Si vota a favore o contro l'Europa. Se restare uniti e affrontare insieme le sfide globali e il confronto con le nuove superpotenze (Cina, Russia, India, Brasile), o se invece tornare divisi come in secoli di guerre si è stati, e scomparire dallo scenario mondiale.
Questa è la posta in gioco nello scontro in atto fra chi vuole riformare l'Europa e rilanciarla, e chi vuole uscire dall'euro. Fra chi chiede crescita e riforme per una più forte Unione politica fra i paesi membri, e chi invece invoca il ritorno degli stati nazionali.
Che l'Europa sia da cambiare, non c'è alcun dubbio. La predominanza degli stati nazionali più potenti nell'imporre l'austerità a discapito della crescita, nel difendere il proprio vantaggio individuale rispetto a quello comunitario, c'è stata. Ma non a causa di troppa Europa, ma di troppo poca Europa.
Gli Stati e il Consiglio europeo hanno ancora eccessivo potere e discrezionalità politica rispetto alle Istituzioni dell'Unione e al Parlamento europeo. È questo che va cambiato, e che ha portato ad una predominanza delle regole e delle burocrazie finanziarie nella politica europea nel timore di ogni intervento solidale fra paesi, causa non ultima del profondo distacco fra cittadini e istituzioni europee.
In una delle più squallide campagne elettorali che l'Europa abbia mai vissuto, in cui l'Italia primeggia per insulti, falsità e bieco populismo, una fetta consistente delle forze politiche cerca di far credere che abbattendo l'euro e uscendo dall'Unione, asservendo la Banca centrale alla politica o azzerando i titoli di stato, si possano risolvere i problemi. In realtà sarebbe la mazzata finale non solo all'idea di Europa e di integrazione fra i Paesi, ma alla sopravvivenza dei singoli stati nazionali, specie i più indebitati come l'Italia.
Per uscire dall'euro bisogna staccarsi dall'Europa, non poter contare più su una moneta unica in grado di fronteggiare le crisi economiche e finanziarie, con un debito pubblico che schizzerebbe immediatamente alle stelle, portando alla bancarotta del Paese. L'Italia, dipendente quasi in tutto dall'estero per l'energia, vedrebbe esplodere la propria bolletta energetica, il costo della benzina e del riscaldamento. Il ritorno alla lira equivarrebbe ad annullare di valore i risparmi dei cittadini, le pensioni degli anziani, gli stipendi dei percettori di reddito fisso. L'unica droga dell'economia risulterebbe l'inflazione, deprezzare il valore della lira per poter vendere all'estero. A spese degli italiani, che si vedrebbero alleggerita la moneta che si ritrovano in tasca.
I cittadini sono disorientati e, specie in Italia, anche giustamente arrabbiati. Non solo la crisi economica pesantissima ha piegato il ceto medio e le classi socialmente più deboli, ha gettato nella disperazione i giovani senza lavoro, ha ridotto le capacità di spesa delle famiglie, caricando un giogo fiscale insostenibile sui lavoratori. A rendere intollerabile il quadro si è aggiunto il disastro politico e morale di questi anni, lo sprofondamento della classe dirigente, la corruzione e il latrocinio della politica. La rabbia dei cittadini ha le sue ragioni, ma non è peggiorando le cose che se ne esce. Non è chiudendosi nel proprio recinto che si riesce a rispondere con più forza alla competizione globale. Non è facendosi il proprio esercito, la propria polizia alle frontiere, la propria zecca di stato, che si può contare qualcosa nel mondo, e soprattutto influire sul resto d'Europa.
Il Parlamento europeo per cui si voterà fra quindici giorni avrà più poteri che in passato. Negli ultimi cinque anni, agganciando gran parte delle novità emerse dal Trattato di Lisbona, i rappresentanti eletti dai cittadini europei sono riusciti ad accrescere il loro ruolo e il loro peso, hanno esteso la codecisione a gran parte delle politiche comuni, anche quelle prerogativa degli stati e degli organismi intergovernativi (politica estera e di sicurezza), usando la leva del bilancio come grimaldello per indirizzare comunitariamente le politiche dell'Unione. Questa volta sarà possibile votare non solo un partito o dei candidati, ma un candidato presidente della Commissione. Ulteriori miglioramenti per accrescere i poteri del Parlamento e ridurre il deficit democratico di Bruxelles sono possibili. Ma per fare questo occorrono una volontà forte di sostenere l'Europa e di rindirizzarla verso un'economia di crescita sostenibile e di occupazione, di contrasto deciso alle diseguaglianze sociali del continente, obbligo morale prima ancora che interesse economico dell'Europa se vuole rilanciare le opportunità. Serve una spinta all'integrazione fra i Paesi nella direzione di una maggiore coesione e di una più stretta solidarietà fra le diverse realtà territoriali. Occorre una visione comune, che faccia da garanzia comune anche ai debiti statali, per liberare energie verso la crescita di cui tutto il continente finirebbe per beneficiare.
Ciò che non serve assolutamente è l'eurodistruzione, il populismo inconcludente degli slogan fanfaroni (in questo Grillo eccelle su tutti, ma è ben tallonato da Berlusconi e dalla Lega), i rigurgiti nazionalisti fuori dal tempo delle destre xenofobe e razziste, certe scorciatoie senza pratica fattibilità a cui anche la sinistra radicale fa l'occhiolino.
La disoccupazione, la povertà, la mancanza di crescita e l'esclusione sociale sono oggi le priorità che solo un più forte governo europeo può contrastare, attraverso un programma comune volto a creare anche un'Unione sociale d'Europa, un'Unione delle opportunità per i giovani, un'Unione di sviluppo sostenibile e riconversione ecologica, un'Unione della governance economica e del debito pubblico.
Sfasciare l'Europa non porta da nessuna parte, ma può solo accrescere i problemi. Vedremo dal Parlamento che uscirà fra quindici giorni quale sarà il nostro destino.
p.giovanetti@ladige.it
Twitter: @direttoreladige