«Senza i cori la tradizione muore»
Il maestro Stefano Balter lancia l'allarme
C’è un aneddoto, tra i tanti che può svelare Stefano Balter raccontando la sua vita indissolubilmente legata alla coralità lagarina, che rende bene l’idea di cosa significava per un ragazzo cantare in un coro «ai suoi tempi». Ora magari fa sorridere, ma diventa occasione per riflettere su una tradizione che rischia di scomparire portando con sè un pezzo di storia del territorio.
«Me lo ricordo bene il giorno in cui, dopo sei mesi di prove, il maestro del coro in cui avevo iniziato a cantare mi consegnò la divisa da corista: per due notti non ho dormito dall’emozione», ricorda. Erano gli inizi degli anni Sessanta, lui era poco più che un bambino ed il coro di cui era stato chiamato a far parte, invitato da Ernesto Frapporti, era il Bianche zime. Lo stesso che il maestro Balter è tornato a guidare nel 2013, ormai vicino ai cinquant’anni di direzione di coro in diverse realtà della Vallagarina.
Lui la passione per la musica, che lo ha portato a studiare pianoforte a sette anni nella scuola musicale di padre Ottone Tonetti, ce l’aveva nel sangue. Viveva a Isera con la sua famiglia e il papà, Aldo Balter, era tra i fondatori (nel 1960) del coro Voci alpine di Mori. Era un pioniere a modo suo, che insegnava i canti per le liturgie al coro parrocchiale suonando la chitarra. Stefano Balter, classe 1953, l’amore per il canto l’ha respirato fin da bambino non solo dentro le mura di casa. «Nei paesi erano tanti gli uomini ed i ragazzi che facevano parte di un coro - spiega il maestro - e spesso arrivavano i tecnici inviati dalle compagnie che portavano in scena le opere al teatro Zandonai. Servivano comparse per quegli spettacoli, quindi andavano in cerca di coristi. Sono cresciuto con quelle arie fin da piccolo e sono convinto che quello era un modo fondamentale di fare cultura».
Anche intonare i brani della tradizione ed i canti alpini era un modo, per i cori, di imparare, ricordare e tramandare la storia. «Era il maestro Remo Manica a dirigere il Bianche Zime allora, un gruppo di trentaquattro coristi che arrivavano da diversi paesi della Vallagarina: da Castellano, Isera, Villa ed anche da Rovereto. Quelli della città naturalmente si distinguevano dai paesani. Sembrava strano cantare vicino all’avvocato piuttosto che al maestro. Eppure quando si intonava un canto insieme tutte le disparità scomparivano, eravamo solo uomini che cantavano». Il repertorio del maestro Manica allora spaziava dai brani della tradizione italiana a quelli tedeschi, legati dal filo conduttore dell’emotività, delle sensazioni che sapevano trasmettere. È lui, indimenticato protagonista della coralità in Vallagarina, a prendere Stefano Balter «sotto la sua ala». Capisce che ha orecchio e che può prendere in mano le redini di un gruppo corale.
Balter lo farà per la prima volta nel 1979 con il coro parrocchiale di Isera dopo una parentesi con «Le pecore nere», una band che riproponeva i successi della Formula tre. Poi quell’anno inizia una nuova avventura, la direzione del coro Sant’Ilario. «È nato quasi per scherzo su invito di Adriano Festi, amico corista del Bianche Zime. Con la “benedizione” di don Beppino Conci, parroco di Sant’Ilario, siamo partiti con un piccolo gruppo. Nel gennaio del 1980 abbiamo animato la messa nella chiesa romanica di Sant’Ilario, quella che poi è diventata il simbolo del coro».
Nel curriculum del maestro Balter ci sono poi le esperienze nel coro Voci alpine, il coro di Ronzo Chienis e, ora, di nuovo il Bianche Zime. In mezzo ci sono successi e avvicendamenti, esibizioni premiate dagli applausi del pubblico e momenti di confronto. E ci sono anche alcuni anni difficili per il maestro Balter, che deve affrontare i problemi legati all’alcol. Ma la passione per il canto è più forte di tutto: «È stata quella a farmi smettere di bere» ammette coraggiosamente.
Stefano Balter è di nuovo alle prese con gli spartiti. Sta rispolverando alcune vecchie partiture per emozionare con la musica e le parole del maestro Alessadro Parisi, che scrisse «La partigiana». Nelle prove che guida ogni lunedì ed ogni mercoledì sera a partire dalle 20.45 in via della Terra a Rovereto cerca di trasmettere ai «suoi» coristi non solo la tecnica musicale, ma anche l’importanza di tener viva la tradizione corale. La storia che è arrivata fino a noi grazie a quei brani tramandati di generazione in generazione. Il rischio però è che i ragazzi di oggi non raccolgano questo testimone. Per questo il coro, con un progetto curato da Gianni Potrich che nel Bianche Zime milita da anni, ha cercato di entrare anche nelle scuole. «La cultura è identità e se non la portiamo avanti con le forze del volontariato la perdiamo» conclude il maestro Balter. Il suo è un appello ai ragazzi perché si presentino alle prove, perché sperimentino la passione del canto. Qualcuno si è fatto avanti. «La coralità potrebbe dare una mano anche ad educare l’animo... confidiamo nei giovani».