Alpinismo, impresa di Manolo Ripete il «Mattino dei Maghi»
Dopo 35 anni il fortissimo arrampicatore ritorna sul Totoga
L’ultima performance del forte scalatore Manolo, all’anagrafe Maurizio Zanolla, feltrino di nascita ma primierotto d’adozione, ha dell’incredibile per svariati motivi, e non solo alpinistici. E non fanno altro che confermare, se mai ce ne fosse bisogno, il soprannome con cui è conosciuto: il «Mago», l’uomo che più di tutti ha contribuito alla nascita dell’arrampicata libera in Italia e, insieme a pochi altri, in Europa e nel mondo. Vive in un maso tra i boschi di Transacqua con la sua famiglia, dopo aver guadagnato fama internazionale scalando falesie verticali con solo un po’ di magnesite sui polpastrelli, in quella che viene definita tecnica «free solo», l’arrampicata solitaria senza gli impedimenti di corde e imbracature, in cui l’equilibrio fisico e mentale è l’unico appiglio per sfidare la gravità di pareti strapiombanti. In questo stile ha raggiunto il 10° grado.
Oggi Manolo ha 58 anni: è il primo scalatore al mondo a superare l’11°grado a oltre 40 anni ed il primo a sfiorare il 12° grado a 50 anni. A 52 anni sale Eternit (9a) nelle vette Feltrine e con il regista Davide Carrari ne racconta la storia con il documentario «Verticalmente demodé» vincitore della Genziana d’Oro al 60° Trento Film Festival 2012. A 54 anni sale un altro 9a, «Roby present», in Val Noana.
Lo scorso 7 dicembre ha ripetuto per primo in assoluto, dopo 35 anni dalla prima salita, i 40 terribili metri della via «Il Mattino dei Maghi», quotata 7c+ (un grado irraggiungibile ai più) in Totoga. A fargli «sicura» e immortalare l’impresa, l’amico Daniele Lira, guida alpina e fotografo.
Il bello è che quella via, aperta nel 1981, fu lui stesso a tracciarla e percorrerla anche se non si ricorda che giorno fosse, forse tarda primavera o inizio estate. Sicuramente non in dicembre, alle porte dell’inverno.
«Non date troppa enfasi alla notizia», ci ha detto subito. «È difficile far capire il valore del gesto, non vorrei essere frainteso». Lasciando da parte le sue remore, la via in questione non è una via qualsiasi, fa parte della storia dell’arrampicata che si è scritta e si riscrive a Primiero. La guida alpina Alessandro Gogna nel suo «Sentieri Verticali» nel 1987 ammoniva: «Ricordati che per quanto tu voglia migliorare, c’è qualcuno che ha già fatto quello che ti stai sforzando di fare. Fino a quando? Fino a che non ci sarà un altro Mattino dei Maghi, che di nuovo sconvolgerà la storia». Una via non soltanto oggettivamente difficile per verticalità, ma anche per pericolosità, come sottolinea Manolo, avvertendo chi volesse cimentarsi nella ripetizione. «Era un caso futuristico allora, era considerata una delle vie più difficili d’Europa».
Ma perché Manolo ha voluto ripeterla? Sta scrivendo un libro in cui ripercorre le tappe salienti della sua esperienza di free climber e, non bastandogli i ricordi, ha voluto letteralmente riprendere in mano quell’esperienza per capirla appieno e poterne riscrivere il valore storico, che ha segnato la fine di un’intera generazione. «Ho vissuto un periodo pericolosissimo, non volendo usare i chiodi a pressione. E quella è stata la prima volta che li ho usati, prima li avevo sempre rifiutati. Era inconcepibile per me accettare di calarsi dall’alto per attrezzare una via». Ma quando è arrivato sotto quella che sarebbe diventata «Il Mattino dei Maghi», «ho provato a vincerla senza mettere chiodi, anche perché i chiodi normali non entravano, non ci entrava niente in quella roccia. Ad un certo punto ho dovuto arrendermi, ho detto no, non me la sento e sono sceso, mi pareva di esagerare. Ma poi ho realizzato che per arrivare in cima, dovevo metterli: ‘se ti casca, ti va in tèra e ti te cope”». E comunque, ne ha messi solo tre «anche malamente», come ricorda. Infatti, non aveva la minima esperienza in materia.
E quei tre vecchi chiodi li ha ritrovati: «La mia intenzione era di andare lì a rifare la via senza usarli. Allora avevo considerato quei chiodi una debolezza; ma poi, dopo una prima ricognizione, mi sono infortunato e ho capito che non avevo voglia di prendermi dei rischi inutili. L’ho ripercorsa come allora, mi son detto, “mi accontento”». Una grande lezione.