Traffico di droga, sigilli all'agritur

Sigilli all’agritur «I Giardini della Torrei» di Caldonazzo. La struttura, che si trova in via Monte Rive, accolta in una splendida cornice naturalistica e vicina alla Torre dei Sicconi, è stata posta sotto sequestro preventivo dal giudice Marco La Ganga, che ha accolto la richiesta avanzata dal pubblico ministero Davide Ognibene. 
 
Il provvedimento nasce dall’indagine «Zaghi» - condotta dagli investigatori della squadra mobile di Trento - che in febbraio aveva permesso di sgominare una presunta banda internazionale dedita al traffico di stupefacenti dai Balcani all’Italia. Per sei trentini si erano aperte le porte del carcere, mentre in quattro erano finiti agli arresti domiciliari: tra questi anche una 26enne di Pergine, titolare della società che - dall’estate 2017 - ha in gestione la struttura: l’agriturismo e il giardino botanico.
 
Secondo gli inquirenti proprio il locale sarebbe stato più volte impiegato sia come deposito per il collocamento della droga spacciata dall’associazione che come luogo di incontro fra i membri della struttura. Inoltre nell’agritur si sarebbero svolti dei «festini» a base di cocaina, ritrovi in cui venivano consumate sostanze stupefacenti. Circostanza - viene evidenziato nel provvedimento del magistrato - che emergerebbe sia dalle fonti di prova raccolte durante l’indagine che dalle dichiarazioni rese di recente da due indagati. Una ricostruzione, va detto, contestata con forza dalla difesa della giovane, sostenuta dall’avvocato Giampero Mattei, che ha impugnato il provvedimento di sequestro davanti al Tribunale del riesame. In attesa di conoscere se i magistrati confermeranno o meno la decisione del gip, va peraltro registrato che il Comune di Caldonazzo, attraverso l’avvocato Sergio D’Amato, ha avviato la procedura per revocare la concessione.
 
I sigilli, come detto, sono scattati nell’ambito dell’indagine «Zaghi», iniziata nel 2016 e chiusa con gli arresti del febbraio scorso: ma in due anni le persone coinvolte sono state 29, di cui 22 arrestate, 11 finite in carcere, 5 ai domiciliari e 6 latitanti all’estero. Il lavoro della squadra mobile era partito un anno e mezzo prima, nel novembre del 2016, dopo il ritrovamento da parte delle forze dell’ordine di un rilevante quantitativo di cocaina nascosto lungo le rive del lago di Canzolino. 
Grazie ad un paziente lavoro di indagine gli investigatori della squadra mobile - che avevano collaborato anche con la polizia stradale, la questura di Verona e le forze di polizia di Slovenia, Croazia e Bosnia Erzegovina - erano riusciti a ricostruire l’intera rete che garantiva il consistente afflusso di stupefacenti in Valsugana. Ingenti i quantitativi di droga che vennero sequestrati: a casa di uno degli arrestati vennero rinvenuti circa 800 grammi di cocaina e 2,7 chili di marijuana, droga nascosta nel soffitto di un manufatto usato per l’allevamento di animali.
 
Tra le persone indagate e finite ai domiciliari, come detto, c’è anche la giovane gestrice dell’agritur, all’epoca legata sentimentalmente ad uno degli arrestati, un 34enne di origine serba, ritenuto dagli inquirenti tra i capi del sodalizio, che collaborava con l’attività dell’agritur. La giovane, nella sua qualità di gestrice dell’agriturismo, secondo l’accusa avrebbe dunque consentito che il locale venisse usato come luogo di ritrovo di persone dedite al consumo di stupefacenti, ma anche come preziosa base operativa per il sodalizio. Ed è proprio facendo ricorso ad una normativa del 1990 (l’articolo 79 del Dpr 309 che sanziona l’agevolazione dell’uso di sostanze stupefacenti) che il giudice, su richiesta della procura, ha chiuso l’agritur: è infatti «sufficiente», viene rilevato nel provvedimento, che chi ha la titolarità di un potere di fatto sul locale pubblico, eletto a luogo di convegno di consumatori di droga, abbia consentito o anche solo tollerato che ciò avvenisse.
 
La difesa della gestrice, come detto, ha però impugnato il provvedimento e nega sia che l’agritur sia stato usato come un deposito sia che fosse un ritrovo per «festini» a base di cocaina. L’avvocato Mattei, nel ricorso, ha inoltre ricordato che all’epoca degli arresti, dunque in febbraio, il locale venne perquisito e non venne trovata droga né risultano sequestri precedenti, tanto che l’agritur non fu oggetto di alcun provvedimento.
 
La giovane, infatti, era stata autorizzata a tornare a lavorare nella struttura, riaperta in primavera, anche a fronte della garanzia che nella gestione non avrebbe collaborato nessuna persona legata alla precedente attività, ma solo i genitori e altre persone nuove. Un mese fa, evidenzia inoltre la difesa, quando venne chiesta la possibilità di ampliare le ore lavorative, alla donna erano stati revocati anche i domiciliari. Ora, con la chiusura delle indagini, questa «doccia fredda». Una misura che secondo la difesa è scattata solo a fronte delle dichiarazioni rese da altri due indagati, ma ritenute infondate. Così come viene negato che denaro dell’attività di spaccio sia mai finito nelle casse dell’agritur.

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