Il Primiero e l'antica storia del Brazedel di Capodanno
"Bon dì e bon an co la vosa bona man". La formula d'augurio dei ragazzini che giravano per il paese a salutare la mattina di Capodanno è nel ricordo di tutto Primiero come pure in Trentino. Era un buongiorno festaiolo sui generis, perché implicava un do ut des : ti auguro ogni bene per l'anno a venire se mi dai qualcosa in cambio. Nelle case delle famiglie più abbienti si riceveva qualche soldo, in quelle contadine si andava su qualcosa di più sostanzioso per la pancia.
A Mezzano, il primo dell'anno si perpetua ancora una tradizione antica legata alla bonaman, quella di donare el brazedel, quel dorato ciambellone rotondo morbido morbido cosparso di zucchero, da sbocconcellare con le mani e poi leccarsi le dita. Il brazedel era anche chiamato buzolà, similmente al vicino Veneto, dove si prepara il bussolà, rappresentato pure in un dipinto del 500 ad opera del maestro Giovanni Antonio Fasolo nella splendida villa palladiana di Caldogno.
Perché si chiama brazedel? Ci spiega Elio Fox nel suo "Vocabolario dialettale della città di Trento": "Per dare forma esatta a questa ciambella, dopo averla impastata e fatto un grande foro al centro, vi veniva infilato il braccio infarinato e fatta ruotare diverse volte per darne la dimensione desiderata". Non è l'unica spiegazione, c'è chi ci vede nella forma la possibilità di portarne più d'uno al braccio oppure per il fatto che lo si portava in dono infilato al braccio. Può darsi, ma lo stesso dolce a Trento prende pure il nome di brazzacol: lo si portava come scaldacollo? Non è verosimile, anche perché poteva avere la forma di un otto, come il più famoso bretzel dell'Alto Adige, che, benché salato, ne condivide l'etimologia.
L'analisi dell'origine del nome, per quanto interessante, non ci regala però quella magia che si sprigiona con l'attesa di affossare i denti nel brazedel medanesc. Ce la facciamo raccontare da chi quelle sensazioni le mantiene vive scrivendone, lo storico Mario Corona.
Il Capodanno era la festa del brazedel?
«Sì, quel giorno il paese profumava di dolce. Il forno del panificio e i fornelli delle casalinghe sfornavano a tutto andare quel dolce. Il brazedèl infatti veniva donato dai datori di lavoro ai dipendenti, dai negozianti ai clienti migliori, ma soprattutto dal padrino di battesimo, el santol, al figlioccio, el fiòzo, accompagnato da qualche piccolo regalo fino al compimento del quattordicesimo anno di età. Era una tradizione alla quale non ci si poteva sottrarre».
C'erano altre usanze a Capodanno?
«Doveva essere un uomo o meglio un ragazzo il primo ad augurarti la bonaman, perché se fosse stata una donna l'arie portà sfortuna par tut el an. Ecco allora stormi di ragazzini bussare alle porte delle case alla mattina prestissimo. Le donne erano ben contente di aprire la porta a quei simpatici monelli e di udire ogni inizio anno la solita frase: "Bòn an e bòn dì, la vosa bonamàn a mi". Il regalo era qualche pasticcino, o dolce preparato dalla padrona di casa e qualche noce, nocciola, stracaganase, mele o frutta in genere e anche qualche caramella. Le donne si guardavano bene dall'uscire di casa e si accertavano che quei marmocchi avessero fatto il giro di tutto il paese».
Nessuno sfidava la scalogna?
«Unica eccezione, era quel fidanzato che faceva sosta sotto le finestre della promessa sposa anche dopo la mezzanotte dell'ultimo dell'anno, e anche se la prima persona a porgergli gli auguri era stata una donna, era comunque felice di aver incontrato e incrociato lo sguardo dell'amato viso».
Mario Corona ed altri abitanti di Mezzano, fino al 6 gennaio al mattino dalle 10 alle 12 e il pomeriggio dalle 16 e alle 18 perpetuano una nuova tradizione: quella della sedia rossa. Nelle viuzze del paese, infatti, il turista si può sedere su una di quelle sparse nel centro storico e lasciarsi incantare da storie vecchie e nuove legate ad uno dei borghi più belli d'Italia raccontate dalla viva voce dei paesani.