Il ricorso / Sanità

Rifiuta di andare a Borgo, chiesti 70mila euro: la dottoressa aveva goduto di un finanziamento per la sua formazione

Alla specializzata in malattie infettive il Tar sospende l’obbligo di pagare. La legge prevede che si debba lavorare in Trentino per due anni. “Ma non in ambiti diversi”

di Patrizia Todesco

BORGO. Chiedere ad una dottoressa che si è specializzata in malattie infettive e tropicali di andare a prestare servizio nel reparto di Medicina interna di Borgo Valsugana è legittimo? No, secondo la professionista che ha rifiutato l'incarico. Sì, secondo l'Azienda sanitaria e la Provincia che, alla luce del fatto che la dottoressa aveva goduto dei finanziamenti locali per la specializzazione, ha chiesto la restituzione dell'importo di 70 mila euro.

La dottoressa, attraverso il suo legale, l'avvocata Barbara Zenatti, ha impugnato il provvedimento davanti al Tar il quale «ha accolto la domanda cautelare proposta dal ricorso e per effetto sospende l'efficacia dei provvedimenti impugnati». Una vicenda che evidenzia quanto sia difficile trovare professionisti disponibili a ricoprire posti negli ospedali di valle e come sia invece facile perderli definitivamente.

Ma torniamo ai fatti. La dottoressa aveva goduto dei benefici finanziari e dei posti aggiuntivi per formazione specialistica riservati a medici in possesso dell'abilitazione all'esercizio della professione residenti in Trentino. Per chi ne beneficia, l'obbligo è di collaborare con il servizio sanitario provinciale per almeno due anni. L'obbligo viene meno se l'Azienda non propone nulla all'interessato entro 60 giorni dalla comunicazione del conferimento della specializzazione ed prevista una penale di massima di 70 mila euro per lo specializzando che non rispetta gli accordi.

La dottoressa in questione ha conseguito nel luglio 2015 una laurea in medicina e chirurgia a Modena e nel 2020 ha ottenuto la specializzazione in malattie infettive e tropicali a Verona. Dal primo luglio 2019 al 31 ottobre 2020, dunque in pieno periodo Covid, ha svolto un periodo di tirocinio presso il S. Chiara. Ottenuta la specializzazione, la dottoressa ha ricevuto da parte dell'Azienda sanitaria la proposta di un incarico di natura libero professionale a partire dall'11 gennaio 2021 e per due anni presso l'unità operativa di medicina interna di Borgo Valsugana.

L'Azienda ha motivato che trattandosi di un reparto multidisciplinare e vista l'emergenza Covid, la proposta non risulterebbe incongrua rispetto al percorso formativo della dottoressa che avrebbe potuto risolvere in parte anche il problema della carenza di organico legata a due cessazioni non sostituite e a due assenze per aspettativa. Per la dottoressa, invece, la proposta era irricevibile e non in linea con il suo percorso di studi, tant'è che l'ha rifiutata. Per tutta risposta la Provincia le ha subito chiesto la restituzione di 70 mila euro. Qualche giorno dopo la dottoressa aveva partecipato a una selezione per un'assunzione a tempo determinato nel reparto di malattie infettive del S. Chiara ma anche in questo caso non entrò in servizio.

 

«Questo - spiega l'avvocato - perché la Provincia pretendeva comunque da parte sua il pagamento dei mesi non lavorati». La dottoressa ha quindi presentato ricorso contestando la penale inflitta dal dirigente del Servizio politiche sanitarie della Provincia eccependo che l'obbligo di collaborare nel servizio sanitario provinciale sussisterebbe per posizioni corrispondenti alla specializzazione di cui lei è in possesso e non in ambiti diversi. Alla luce di «profili di non manifesta infondatezza» del ricorso e alla necessità di «una compiuta verifica che è possibile svolgere solamente nella sede di merito» il Tar ha quindi deciso di sospendere il pagamento in attesa dell'udienza di merito fissata per novembre.

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