Arrivata in Albania la nave italiana con 16 migranti destinati alla detenzione extraterritoriale
In mille sono sbarcati a Lampedusa nelle ultime 48 ore. Non hanno toccato invece il suolo italiano i 16 migranti intercettati in mare, selezionati e messi sulla nave Libra della Marina Militare che stamattina è arrivata in Albania. Saranno i primi a sperimentare le procedure accelerate di frontiera in un Paese terzo, difese anche ieri in Parlamento dalla premier Giorgia Meloni.
Affilano le armi, intanto, le organizzazioni che si battono contro quella che definiscono "una deportazione": l'Associazione per gli studi giuridici sull'immigrazione ha individuato ben 19 eccezioni sollevabili durante le convalide dei trattenimenti. Ci sarà sicuramente lavoro per legali e magistrati. Domani si parte col progetto, dunque. Tutto è pronto nell'hotspot italiano allestito al porto di Shengjin, località balneare ad una cinquantina di km a nord di Tirana.
Qui i 16 (10 bengalesi e 6 egiziani) verranno sottoposti ad uno screening sanitario ed alle procedure per l'identificazione. I primi elementi sono stati raccolti già sulla Libra, dove viaggia anche personale di Unhcr e Oim. A Shengjin sono presenti medici, forze dell'ordine, interpreti, mediatori culturali.
Concluse le attività, sempre domani, i migranti saranno trasferiti con un pullman a Gjader, l'altro sito a giurisdizione italiana, dove sono stati allestiti un centro di accoglienza per richiedenti asilo da 880 posti, un Cpr (144 posti) che ospiterà le persone destinate all'espulsione ed un penitenziario da 20 posti per chi compie reati. Il gruppo di bengalesi ed egiziani attenderà nel centro per richiedenti asilo l'esito della domanda.
Nel frattempo un giudice a Roma dovrà convalidare il trattenimento nella struttura disposto dalla questura della Capitale in base al decreto Cutro. Negli ultimi mesi sono state però frequenti le mancate convalide. In questo caso i migranti dovranno essere portati in Italia. Altro punto che potrebbe bloccare i rimpatri è la recente sentenza della Corte che fissa più stringenti parametri in base ai quali un Paese può essere definito 'sicuro'. Ciò spiega anche il numero esiguo con cui è partito l'esperimento Albania. Va prima verificato che le decisioni dei giudici non trasformino i trasferimenti in viaggi di andata e ritorno per gli stranieri selezionati. Con conseguente spreco di risorse.
È sempre la Libra a fungere da hub unico per la tratta di poco più di mille km tra il Mediterraneo centrale e l'Albania. Possono essere trasportati soltanto i migranti intercettati in acque internazionali da motovedette delle autorità italiane. Gli eventuali rimpatri avverranno poi direttamente dal Paese del presidente Edi Rama che oggi ha fatto sapere di aver declinato richieste da altri Stati per raggiungere un'intesa simile a quella con l'Italia.
Il governo confida nell'effetto deterrenza dell'iniziativa. Nel frattempo, però, è boom di partenze dalle coste nordafricane, incentivate anche dalle favorevoli condizioni meteo. In 48 ore oltre mille persone sono sbarcate a Lampedusa ed è stato attivato il dispositivo per decongestionare l'hotspot con traghetti ed aerei. Altri migranti sono stati portati in Italia da navi umanitarie: 47 a Porto Empedocle dalla Mare Jonio, che ha subito però il fermo amministrativo per violazione del decreto Piantedosi. Dal mondo cattolico emerge malcontento verso la strategia del governo.
"Il pericolo è che si gestiscano delle persone come se fossero delle merci o degli oggetti non desiderati", commenta padre Camillo Ripamonti, presidente del Centro Astalli. Critico anche monsignor Gian Carlo Perego, arcivescovo di Ferrara-Comacchio, e presidente della Fondazione Migrantes: il luogo scelto dall'Italia per "accogliere" i migranti, osserva, rimanda "ai luoghi dove viene meno la tutela della dignità della persona".
Sul piede di guerra poi le ong, attaccate ieri sia da Meloni che dal ministro dell'Interno, Matteo Piantedosi. "Considero vergognoso che Sea Watch definisca le guardie costiere 'i veri trafficanti di uomini', ha tuonato la premier. Le ha fatto eco il titolare del Viminale: c'è il rischio che l'attività delle ong venga "sfruttata opportunisticamente dai trafficanti di esseri umani senza scrupoli", ha osservato. Meloni, è la replica di Sea Watch, "ha taciuto i comportamenti criminali della cosiddetta guardia costiera libica finanziata dall'Italia che tante volte abbiamo documentato con i nostri aerei. Sarà per questo che ci attacca, nessuno deve sapere".